Adozione internazionale: ebbene sì, sono un papà special-need

La sincera testimonianza di Vincenzo, papà felice di due bambini adottati, che invita alla riflessione sul vero significato di parole come accoglienza e “diversità”

Non è facile essere genitori: frase abusata finché si vuole, ma non per questo meno vera. E sicuramente non è facile essere una genitore “special need” di due bambini adottati. Ma dubbi, timori, pensieri… sono ostacoli solo teorici. Perché essere genitori significa aprirsi ai figli per ciò che si è, senza barriere e fingimenti. Significa scoprire, a volte con sorpresa, che per i figli non esistono “imperfezioni”. La storia di accoglienza e di apertura di Vincenzo lo dimostra.

La lettera di papà Vincenzo

Sono un papà “special need”.
Si, è proprio così. Sono nato con una vistosa malformazione all’occhio sinistro con glaucoma e cecità, non vedo da quell’occhio, ho una visione monoculare alla quale sono abituato da ben 52 anni. Ed è un inestetismo molto accentuato ed evidente. Tutto ciò non mi ha impedito di avere una vita normale, di realizzare i miei progetti e i miei sogni nella vita.

Prima di intraprendere l’adozione internazionale non avevo mai riflettuto a fondo su questo aspetto. Sentendo parlare di problemi fisici, fabbisogni speciali, come genitori rimaniamo impauriti, spaventati, titubanti e molto restii ad accettare proposte di questa natura, desiderosi di avere un figlio “sano”.
Ma se io non fossi stato voluto, amato e cresciuto dalla mia famiglia biologica, quale famiglia adottiva mi avrebbe accolto con una simile diversità? Forse sarei rimasto in un istituto fino alla maggiore età diventando poi un “care-leaver”.

Tutta questa riflessione è venuta fuori prepotentemente in me dopo la nostra prima adozione con AiBi in Bolivia. Nostro figlio ci ha accolti così come siamo, mia moglie ed io, ed in particolar modo me con la mia diversità, il mio difetto fisico, eravamo i suoi genitori ed andava benissimo così. Mi dava dei baci sull’occhio dicendo: “l’occhietto con la bua”.

Al momento della seconda adozione poi, AiBi ci ha invitati a partecipare a un corso di sensibilizzazione sugli special need. Poco dopo sarebbe arrivata una proposta per noi, per la nostra secondogenita, dalla Colombia proprio da questo particolare canale.

Il fatto che nostra figlia avesse avuto problemi nello sviluppo, per via della prematurità, con un’operazione laser per retinopatia a pochi mesi di vita, mi ha illuminato immediatamente alla lettura della scheda.
Non siamo dei “supereroi”, siamo normalissimi genitori come tanti, ci siamo guardati con mia moglie ed abbiamo accettato.
Oltre ad avere uno staff sanitario oculistico di fiducia, dove anche nostra figlia avrebbe potuto ricevere gli opportuni controlli, tutta la sua storia mi forniva finalmente una risposta a tutti quei perché che mi avevano assillato un’intera vita: perché proprio a me questo difetto? Perché la sofferenza di questa forte diversità che mi aveva comportato da sempre domande invadenti e sfottò durante la crescita? Perché?

Ebbene, ora si chiudeva finalmente un cerchio, trovavo le mie risposte e, in un certo senso, facevo pace anche con la mia storia.

Anche con la seconda esperienza adottiva si confermava quello che avevamo appreso con la prima adozione: i nostri figli ci accettano e ci accolgono incondizionatamente senza alcun pregiudizio e dubbio. Alti, magri, bassi, robusti, con difetti fisici o malattie croniche, non importa; siamo e saremo per sempre i loro genitori!
La mia testimonianza vuole essere soltanto uno spunto di riflessione per mostrare anche l’altro lato della medaglia: anche noi genitori possiamo essere “special need”.