Adozioni internazionali. “Abbiamo dovuto versare soldi in nero, ma non abbiamo avuto il coraggio di denunciare”. Le buone prassi de L’Aja prevedono la possibilità per le coppie di segnalare ogni tipo di abuso, anche in forma anonima

pagamenti in neroBuongiorno Ai.Bi.

Ho letto con molto interesse l’articolo pubblicato sul vostro sito venerdì 26 agosto in cui si parlava delle modalità con cui la Commissione Adozioni Internazionali potrebbe cercare di limitare, se non proprio estirpare, il problema dei pagamenti in nero richiesti alle famiglie adottive. L’ho letto con particolare interesse, come vi dicevo, perché nelle situazioni che vi erano delineate ho praticamente rivisto tutta la mia esperienza di adozione.

Prima di intraprendere l’iter adottivo, come tutti gli aspiranti genitori, anche io e mio marito ci siamo documentati sugli aspetti “tecnici” di questo percorso. Tra le varie informazioni che abbiamo raccolto presso parenti e conoscenti che avevano già vissuto l’esperienza adottiva in anni recenti c’era anche quella secondo cui, in tutti i Paesi in cui si recano le famiglie adottive, è possibile effettuare pagamenti con mezzi tracciabili.

Sicuri di questo, ci siamo affidati a un ente autorizzato. Il quale all’inizio ci ha assicurato che avremmo pagato tutte le somme previste con bonifici bancari. In corso d’opera, però, l’aria è cambiata. L’ente ha cominciato a metterci in guardia da probabili intoppi che avrebbero potuto ostacolare il nostro iter. Per risolvere questi problemi, a detta dell’ente, ci sarebbe stato un solo modo: versare delle somme di denaro aggiuntive e in contanti. Richiesta che si è ripetuta più volte. In un caso ci è stato detto addirittura che la nostra adozione sarebbe stata a rischio.

Quest’ultima eventualità ci ha messo particolarmente in allarme. Non avremmo mai voluto vanificare tutti i sacrifici fatti fino a quel momento. Cambiare ente sarebbe risultato forse anche più costoso che sottostare alle richieste economiche di quello che ci stava seguendo. Così abbiamo deciso di proseguire con le modalità che il nostro ente ci imponeva. La paura di perdere la possibilità di adottare ci ha indotto a non denunciare questo palese misfatto. Abbiamo accennato qualcosa ai servizi sociali, ma sinceramente non vedevamo a livello istituzionale qualcuno che ci potesse tutelare.

Davvero non c’è modo per aiutare gli aspiranti genitori a denunciare questo problema?

Un caro saluto,

Lettera anonima

 

Cari genitori,

quello che avete descritto è purtroppo un ben noto circolo vizioso.

Lo svolgersi della vicenda appare essere sempre più o meno lo stesso: “per portare a termine presto e bene un’adozione è opportuno fare qualche pagamento in nero, niente di complicato, nessun rischio, solo si evitano tante pastoie burocratiche che farebbero solo perdere tempo”.

Pagare in nero (che nella migliore delle ipotesi significa evitare le tasse a qualcuno, ma quasi sempre significa corrompere), invece, qualche volta potrà aiutare a ridurre i tempi o ad ottenere l’abbinamento con un bambino più piccolo e/o più sano, anche se non vi può essere, ovviamente, nessuna garanzia in proposito. Certamente, costa di più. Quanto di più dipende solo dal buon cuore di chi riceve i soldi brevi mano dalla coppia. Una volta che si è accettato di percorrere questa via, infatti, si è avviata una vera e propria spirale ricattatoria potenzialmente infinita: “se volete il vostro bambino oppure se non volete perderlo, servono altri soldi perché c’è un ostacolo imprevisto”. E, appunto, il numero degli ostacoli imprevisti e dei risolutori che è necessario fare intervenire in cambio di soldi può essere molto lungo.

E’ ovvio che, posti sotto un ricatto di tal genere, quali genitori andranno a denunciare l’accaduto?

Proprio per aiutare i genitori eventualmente coinvolti a denunciare l’accaduto, la Convenzione de L’Aja, nel documento “Elenco delle buone pratiche riguardanti gli aspetti finanziari dell’adozione internazionale” pubblicato a giugno 2014, suggeriva di “prevedere un metodo di facile accesso che permetta alle coppie e agli altri attori di segnalare ogni tipo di abuso, anche in forma anonima”. Purtroppo, in Italia questo suggerimento non è ancora stato recepito, e quindi, per rispondere alla Vostra domanda, non c’è ad oggi modo per aiutare gli aspiranti genitori a denunciare questa piaga.

Certo, le denunce anonime sono uno strumento da maneggiare con estrema cura e da introdurre in un ordinamento davvero come estrema ratio. Però, si potrebbero già cogliere frutti importanti se la CAI si impegnasse pubblicamente a garantire alle coppie, che ad essa si rivolgessero per segnalare fenomeni di questo tipo, la più assoluta riservatezza e un reale sostegno nel portare a termine il progetto adottivo. La creazione di uno strumento del genere potrebbe anzi essere un punto da suggerire alla CAI quando ricomincerà a riunirsi e a lavorare.

Perché però questo strumento, come d’altronde ogni strumento, possa rivelarsi efficace, è innanzi tutto necessario che l’istituzione, che lo propone, abbia credibilità e autorevolezza e ci si rivolga ad essa con fiducia. A pensarci bene, per una CAI che ha addirittura deciso di chiudere la linea verde per le coppie adottive ormai dal 2013, bisogna forse tristemente constatare che il suggerimento è prematuro.

 

Antonio Crinò

Direttore generale di Ai.Bi.