Affido: l’Europa condanna l’Italia per la pratica del sine die

Dopo i fatti di Bibbiano, l’istituto dell’affidamento famigliare è senza pace. Griffini (Ai.Bi.): “Sono anni che stiamo sostenendo che questa misura debba essere assolutamente temporanea, come del resto prevedono le normative. Oggi l’Europa ci ha dato ragione. Subito avvocato del minore”

Da anni sosteniamo che l’affido famigliare di minori in difficoltà debba essere una misura assolutamente temporanea, come prevedono le leggi, che indicano un periodo massimo di due anni, prorogabili solo di altri due. Oggi l’Europa ci ha dato ragione”. Il commento è del presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, a proposito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 18 luglio 2019 (causa R.V. e altri contro Repubblica Italiana) che condanna l’Italia per la pratica dell’affido sine die.

Quello dell’affido, dopo i fatti di Bibbiano, è dunque un istituto che non trova pace nelle cronache. All’origine della sentenza il ricorso 37748 del 2013, proposto contro la Repubblica Italiana ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da una cittadina italo-francese e due cittadini italiani, i quali hanno sostenuto che i provvedimenti che avevano disposto l’affidamento di minori a un’Amministrazione comunale, nonché l’attuazione di tali provvedimenti avessero violato il loro diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare (art. 8). nello specifico si trattava di due minorenni entrati nel sistema dell’affidamento familiare, prima consensuale e poi giudiziale, protrattosi per 10 anni.

La Corte ha evidenziato che “nelle cause concernenti il rapporto di un genitore con il figlio, vi è il dovere di agire rapidamente e di esercitare un’eccezionale diligenza, in considerazione del rischio che il decorso del tempo possa comportare una determinazione della causa de facto” e ha quindi ribadito che “l’affidamento di un minore deve essere considerato una misura temporanea che deve cessare appena le circostanze lo permettono, e qualsiasi misura di attuazione dell’affidamento provvisorio dovrebbe essere compatibile con il fine fondamentale del ricongiungimento del genitore naturale con il figlio“.

“La legge è molto precisa – prosegue Griffini – ma, come abbiamo visto a Bibbiano, ciascuno fa quello che vuole. Il problema è che nel nostro sistema manca il momento del controllo sia sull’operato dei servizi che della magistratura, per cui è facile cadere in situazioni di abuso di potere. Ecco perché riproponiamo con forza al nuovo Governo, la nostra proposta dell’avvocato del minore, una figura terza che fin dall’inizio dell’intervento istituzionale abbia pieni poteri per la tutela del minore. Deve prendere visione della relazione, può nominare anche suo perito se non è convinto delle conclusioni. E poi si confronta con il giudice per mettere a punto un progetto di affido, nel caso venga confermato l’allontanamento dalla famiglia”.

“In questo specifico caso – conclude il presidente di Amici dei Bambini – la CEDU esprime poi preoccupazione per un sistema che il Governo loda per la sua flessibilità ma che rende anche possibile l’affidamento allo Stato sulla base di una legislazione che prevede che i ‘provvedimenti temporanei’ che possono essere adottati in una situazione di ‘urgente necessità’ siano protratti a tempo indeterminato, senza fissare un termine di durata o di riesame giudiziario degli stessi, con ampie deleghe da parte dei Tribunali ai Servizi sociali, e in definitiva senza che siano determinati i diritti genitoriali”.