Un affido che non è più affido, ma un sine-die

Quando una soluzione temporanea diventa permanente. Come cambia la vita dei minori e delle famiglie coinvolte in un progetto che dura più del previsto? Tra criticità, burocrazia e casi controversi, il sistema dell’Affido ha bisogno di un aggiornamento

L’affido familiare è una forma di protezione dei minori che si trovano in situazioni di difficoltà nella loro famiglia d’origine. Si tratta di un progetto temporaneo, che dovrebbe durare al massimo due anni, ma che spesso si prolunga fino alla maggiore età dei ragazzi.
Questo è quanto racconta Karin Falconi nel suo libro Non ti ho chiesto di chiamarmi mamma, in cui narra la sua esperienza di madre affidataria di due sorelle adolescenti, oltre che madre biologica di una ragazzina.
Tra aneddoti divertenti e ostacoli burocratici, la scrittrice mette in luce le criticità di un sistema che non sempre riesce a garantire il benessere dei bambini e delle famiglie coinvolte.
L’affido familiare prevede che il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo possa essere affidato a un’altra famiglia, a una persona singola o a una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.
Tutti possono candidarsi come affidatari: coppie sposate o conviventi, etero e omosessuali, single, senza limiti d’età.
Secondo il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i minori in affido nel 2020 erano 12.815, un numero costante nel tempo. Tuttavia, il 61 per cento del totale resta in affido più dei due anni previsti, il 39 oltre i quattro. Si tratta del cosiddetto “sine die”, non contemplato dalla legge: significa rimanere nella stessa famiglia fino ai 18 anni, o ai 21 con il prosieguo amministrativo.

Il tempo dell’Affido

Quali sono le conseguenze di questa pratica?
Da una parte, alcuni studi evidenziano che l’accoglienza prolungata può agire da fattore protettivo, insieme alla tempestività dell’intervento, e favorire la riuscita scolastica dei minori. Dall’altra, come sostiene Karin Falconi, la durata eccessiva snatura l’istituto, altera i rapporti, fa sì che il minore perda il senso d’appartenenza. Se il fine è il rientro, con il sine die si fallisce l’obiettivo. Inoltre, si crea una situazione di ambiguità, in cui i genitori affidatari non hanno la piena responsabilità dei figli, che restano legati ai genitori biologici, se titolati, per le decisioni importanti.
quarant’anni da una legge giusta e coraggiosa, forse bisognerebbe fare il punto. Le famiglie sono cambiate, i bambini anche. Servirebbe rilanciare l’affido familiare, perché di genitori affidatari c’è sempre più bisogno. Fa riflettere un dato: mentre il numero dei minori in affido è costante, è cresciuto quello dei minori in comunità, che oggi è leggermente superiore. Ed è grave, perché tutti gli studi dimostrano che, se un bambino non può vivere nella propria famiglia, sta meglio in un’altra piuttosto che in una struttura. Oggi c’è minore sensibilità rispetto all’accoglienza e il caso Bibbiano ha lasciato strascichi tremendi. Tanto per ricordare: nel 2019 l’inchiesta Angeli e demoni su presunti affidi illeciti in provincia di Reggio Emilia suscitò un polverone politico e mediatico. Al centro dei sospetti lo psicoterapeuta Claudio Feti che però, pochi mesi fa, è stato assolto in appello.

Il ruolo dello stato e il caso di Milano

Non è vero, come si è detto sull’onda di Bibbiano, che lo Stato non deve entrare in una famiglia. Al contrario, il suo compito è proteggere i più fragili. È il parere di Lamberto Bertolé, assessore al Welfare del Comune di Milano, che ha organizzato una tre giorni per promuovere il servizio. “E ricordo che l’Italia è uno dei Paesi europei con il numero più basso di minorenni fuori dalla famiglia”. A Milano nel primo semestre 2023 gli affidi in corso erano 304, tra i quali 40 nuovi. Più di metà dura meno di tre anni. Ogni famiglia riceve un contributo di 480 euro. Il punto non è tanto far crescere la domanda ma, secondo l’assessore, informare e formare. “L’affido è un percorso che crea un cambiamento profondo in una famiglia e va intrapreso con consapevolezza”.
A Milano il servizio è rodato, va avanti con successo da 40 anni. Le famiglie aspiranti partecipano ad alcuni incontri prima con i servizi sociali, poi con il bambino o la bambina abbinati. È il Comune ad avere l’affido dal Tribunale, la famiglia ha la delega.

I MISNA

Alle criticità già presente se ne aggiunge un’altra: l’arrivo dei minori stranieri non accompagnati (MISNA). A Milano ce ne sono 1.300 in carico ai servizi del Comune.
Gli affidi? Irrisori, 35. Bertolé anticipa una novità: “Un accordo con i consolati dei Paesi dai quali arriva la maggior parte di loro – Egitto, Albania, Tunisia, Bangladesh – per un affido omoculturale, cioè all’interno delle comunità di provenienza”. Speriamo che funzioni, anche perché, come dice Matteo Zappa, responsabile dell’Area minori di Caritas Ambrosiana, “il trend degli arrivi è in forte crescita, e bisognerebbe diversificare l’accoglienza”. I MISNA sono maschi, hanno in genere 16-17 anni, l’affido “può essere un ponte per l’autonomia, completare il percorso scolastico, inserirsi nel lavoro”.

Informazioni e richieste sull’affido familiare

Chiunque volesse approfondire la conoscenza dell’affido familiare e riflettere sulla propria disponibilità a intraprendere questo percorso, può partecipare agli incontri organizzati da Ai.Bi. Tutte le informazioni si trovano alla pagina dedicata del sito dell’Associazione.

[Fonte: “IO Donna”]