Ahmed, storia simbolo di un migrante che ce l’ha fatta. Ma in migliaia ancora attendono

giovani migranti“Non c’era libertà. Ma c’era lavoro, tanto lavoro. Mi assunsero in un’impresa edile in una cittadina vicino a Tripoli e per un anno ho lavorato là ogni giorno. Poi scoppiò la guerra..” Inizia così la storia di Ahmed, una delle migliaia di minori stranieri non accompagnati che sbarcano sulle coste italiane. Ahmed, a soli 15 anni, ha già attraversato da solo Togo, Benin, Nigeria, Niger, Mali e Algeria e, partendo dal Ghana, è arrivato in Libia e da qui è si è imbarcato per l’Italia. Ma neanche il nostro Paese era la sua meta definitiva: voleva arrivare in Germania e lì trovare lavoro. Ahmed è uno di quelli che ce l’ha fatta, mentre molti altri, se riescono a sopravvivere alle drammatiche traversate del Mediterraneo, rimangono imbrigliati nella rete della burocrazia italiana.

La presenza di minori stranieri in Italia è un fenomeno costante e in continua crescita: nel 2012 erano il 23,9% della popolazione straniera residente. Il 21% di loro è arrivato prima dei 5 anni e un altro 20% quando aveva tra i 6 e i 17 anni. All’interno di questa popolazione di circa un milione e mezzo di bambini e ragazzi, una componente molto significativa è rappresentata proprio dai minori stranieri non accompagnati. Il 70% di loro ha più di 15 anni, venuti in Europa per cercare lavoro. Secondo la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, la loro tutela deve essere piena e incondizionata, in base al principio del superiore interesse del minore, ripreso anche dalla legislazione comunitaria e nazionale. Eppure, questi ragazzi, giunti in Italia, rischiano di rimanere per mesi nei centri di accoglienza in attesa di un visto per lasciare l’Italia.

È successo anche ad Ahmed che ha speso tutti i soldi che aveva guadagnato in Libia per pagarsi la traversata del Mediterraneo. “Restammo 5 giorni in mare prima di sbarcare a Lampedusa”, ricorda. Dopo alcune settimane nelle celle umide del Cie dell’isola siciliana, viene trasferito in un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati vicino ad Agrigento, dove rimane per oltre un anno. Qui si sente in gabbia e non smette di sognare la Germania. “Non capisco perché chi sbarca in Italia non possa chiedere asilo in un altro Paese, dove magari c’è più lavoro”, si chiede Ahmed. Che nel gennaio 2013 riesce finalmente a varcare il confine. Oggi vive a Colonia dove ha ottenuto asilo politico. “Ogni giorno vado a scuola – racconta –, studio elettromeccanica e il mese prossimo inizierò un tirocinio in un negozio di macchine. In confronto all’Italia, qui in Germania l’aiuto per i rifugiati è migliore. Non ti lasciano con le mani in mano: o studi o lavori”.

Ahmed sa bene che trovare un lavoro non sarà facile neppure in Germania. Ma almeno sa che il suo impegno verrà riconosciuto: “Per chi segue le leggi e si comporta bene – afferma – la Germania offre tante opportunità. Mi manca molto l’Italia, ma sapevo che non avrei avuto un futuro”.

L’Italia, infatti, è sempre più un Paese di transito piuttosto che di destinazione, passaggio obbligatorio nella rotta verso i Paesi europei più ricchi. Secondo il rapporto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nel solo 2013 la quota di stranieri che hanno lasciato l’Italia è aumentata del 18%. È per questo che numerose associazioni che si occupano di immigrazione chiedono di modificare il Regolamento di Dublino, secondo cui nell’Unione Europea la domanda di asilo deve essere presentata nello Stato di arrivo e non può essere trasferita a un Paese terzo.

 

Fonti: Corriere della Sera, Newz