Assegno di mantenimento. Cassazione: i figli terminati gli studi hanno il dovere di trovarsi un lavoro

Rivoluzionaria sentenza della Suprema Corte: c’è bisogno di passare da un’ottica di assistenzialismo ad una di autoresponsabilità.

Una rivoluzionaria sentenza (n. 17183) della prima sezione civile della Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso di una donna, verso la decisione della Corte di appello di Firenze, di revocare l’assegno di mantenimento dell’ex marito al figlio trentenne.

Il ragazzo, professore di musica precario, con il suo lavoro riusciva a portare a casa una media di 20 mila euro lordi annui, troppo pochi per rendersi indipendente.

Per i giudici della Suprema Corte,  giunto a termine il ciclo di studi, per un figlio arriva  il momento di rendersi autonomo dalla famiglia di origine e qualora purtroppo, non si riesca a raggiungere il lavoro a cui si ambisce, è tempo di “ridurre le proprie ambizioni adolescenziali”, perché l’assegno di mantenimento non è “una copertura assicurativa” e un figlio non può pretendere che “a qualsiasi lavoro si adatti in vece sua soltanto il genitore”.

La parola d’ordine per i giudici è quindi autoresponsabilità.

Il concetto di capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato, si acquista con la maggiore età” sottolinea la Cassazione, spetta al figlio dimostrare  “che si ha ancora diritto al mantenimento ma “se sussiste uno stile di vita volutamente inconcludente o sregolato oppure l’inconcludente ricerca di un lavoro protratta all’infinito”  questo diritto non verrà certo avvalorato.

Se questo è vero, è però innegabile constatare come al giorno d’oggi, tra contratti precari e stipendi al limite della sussistenza, trovare un posto di lavoro e riuscire a rendersi autonomi fuori dalle mura domestiche non sia un risultato così semplice ed immediato per i giovani del nostro Paese.