Belletti. “La missione della famiglia adottiva e affidataria? Rompere la crosta dell’isolamento nel quale sono confinate oggi le coppie”

belletti-okUna famiglia dai confini chiusi è un’entità morta. La famiglia deve prendere consapevolezza della propria responsabilità pubblica, occuparsi delle relazioni sociali, essere costruttore di bene comune e soggetto attivo di società civile. Insomma bisogna abbandonare l’idea di famiglia nucleare e sposare sempre di più il valore dell’accoglienza”. Non usa mezzi termini Francesco Belletti, presidente nazionale del Forum delle Associazioni familiari, intervenendo alla “XXIII Settimana delle Famiglie” di Amici dei Bambini che si sta svolgendo a Gabicce Mare.

La famiglia è “libertà in azione – ha aggiunto Belletti – : originata da gesto privato tra due persone deve essere socialmente rilevante, diventare un fatto pubblico e soprattutto instaurare con il mondo circostante un rapporto di scambio e di reciprocità continua. Solo così la famiglia può rivendicare il proprio ruolo fondante ed essere riconosciuta come tale”.

Per Belletti in qualche modo “è come se si dovesse tornare al concetto di famiglia tribale che vive in un villaggio comunitario, in cui nessuno chiude la porta all’altro ma dove ognuno è parte di un tutto. Dove insomma vige il principio della condivisione e dell’accoglienza”.

Valori che al giorno d’oggi sembrano essere in crisi a giudicare dal calo di coloro che si avvicinano alla adozione pari al 30%”.

“Bisogna colmare il gap profondo – ha precisato Belletti – che c’è tra la domanda (le famiglie disponibili all’adozione) e l’offerta (i milioni di bambini soli al mondo). E’ necessario fare un grande sforzo: fare riscoprire il valore della famiglia. Come? Attraverso l’esempio, i racconti e le testimonianze di chi ha accolto un bambino con l’affido e/o con l’adozione”.

La famiglia deve essere “contagiosa” e promotrice di una vera e propria rivoluzione culturale di un principio base: “ogni bambino è mio figlio- ha aggiunto -. Nei confronti del minore abbandonato non abbiamo la colpa ma la responsabilità. Per questo la prima cosa da fare è rompere la crosta dell’isolamento nel quale sono confinate oggi le coppie”.

Per raggiungere questo scopo bisogna lavorare sul dialogo, l’informazione, le ‘reti di prossimità’ con il risultato di “rigenerare il tessuto di alleanza tra le famiglie- ha aggiunto – . Una vera e propria solidarietà operativa”.

Chi adotta non è un supereroe ma una persona normale che vive la fattibile quotidianità dell’accoglienza. E di accoglienza ce n’è tanto bisogno.

Basti considerare il dato pubblicato dall’Onu nel rapporto dell’Ecosoc e reso noto da Ai.Bi. nel corso della XXIII settimana delle Famiglie: 16 milioni di bambini orfani di entrambi i genitori per Aids.

“Un dato sconcertante – ha commentato Belletti – che ci richiama all’ordine. Diventa un dovere morale intervenire al più presto sul fronte delle adozioni internazionali”.

Da qui la riflessione sulla necessità di una riforma della legge 184 dell’83 sulle Adozioni internazionali. “Ci sono sicuramente – ha precisato Belletti – delle criticità su cui lavorare: eccessiva burocrazia, costi troppo elevati e tempi particolarmente lunghi. Aspetti che vanno migliorati in difesa della progettualità della famiglia. Le coppie devono essere accompagnate nel percorso dell’adozione non appesantita e ostacolata con troppe ispezioni e controlli”.

Belletti, infine, parla delle comunità educative. “Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio – ha concluso – Non tutte vanno chiuse: vanno mantenute quelle destinate a bisogni speciali del bambino per periodi limitati di residenza (breve e medio tempo). Dall’altra parte bisogna  lavorare sulla qualificazione delle comunità familiari secondo alti standard. Solo così si garantisce al minore la migliore forma di accoglienza possibile”.