Bimbi in Comunità Educative: perché trattarli da ‘poverini’ anche al bar?

Sono Michael e faccio il barista all’interno di una struttura alberghiera frequentata da gruppi e famiglie. Nonché da una comunità educativa che accoglie bambini abbandonati o allontanati dai loro genitori. Dato che la “regola” generale è quella di non dare bicchieri d’acqua del rubinetto ai bambini che corrono e giocano (d’ altra parte il bar è lì per vendere i prodotti e i giochi all’esterno hanno anche una funzione commerciale), ho sempre mantenuto la stessa linea anche con i bambini della Comunità Educativa, poiché accompagnati dai propri educatori che spesso comprano loro acqua e gelati. Inoltre mi è sembrato opportuno comportarmi così, dato che non vorrei far differenze tra loro e gli altri. Per me sarebbe brutto farli apparire diversi. Tuttavia questa scelta ha creato lo sdegno in alcune clienti anziane e benpensanti che da allora hanno tormentato la direzione con proteste nei miei confronti. Dato che mi preme soprattutto la salute di questi piccoli, vorrei chiedere il vostro parere circa il comportamento più adatto da tenere in questo caso, dato che continuerò a pormi il problema nelle prossime settimane.

Grazie, saluti, 

Michael

(fonte Medicitalia.it)

 

TRASFORINICaro Michael,

anzitutto complimenti per la sensibilità e l’attenzione verso i bambini che dimostra con la sua lettera.

La prima riflessione che le propongo rispetto alla sensibilità dei minori accolti in una Casa Famiglia è che l’essere trattati diversamente dagli altri in quanto “poverini” non è solitamente per loro fonte di sollievo o di serenità, ma li pone ulteriormente in una condizione di disagio per quanto questo dipenda sicuramente dal singolo bambino e dalla sua età. Le dirò inoltre che proprio per aiutare i bambini a vivere in condizioni di “normalità” nelle case famiglia vengono proposte e vissute delle regole che hanno lo scopo di dare ai bambini quei confini che rasserenano e creano una routine.

Tornando alla sua questione specifica, direi che se la regola c’è e ha un senso e soprattutto è applicata allo stesso modo per tutti, non vedo alcun beneficio psicologico o emotivo per i bimbi della Casa Famiglia. Diverso sarebbe se gli educatori o i responsabili vi avessero segnalato un disagio, ma da quanto leggo le rimostranze sono arrivate da alcune clienti. Ad esse dovrebbe essere la direzione a spiegare che la regola ha delle motivazioni e che i responsabili dei bambini nonché i bambini stessi sono sereni, la loro acqua la bevono lo stesso.

Talvolta non ci si rende conto che le discriminazioni sono ben altre, questa è una semplice norma applicata, se non si è d’accordo si discute la norma e non l’applicazione.

Buon lavoro,

Lisa Trasforini

Equipe psicologica di Ai.Bi.