Bologna. Khalid, sarebbe bastata una famiglia affidataria per salvargli la vita

immigrato200Khalid è un bambino di otto anni, arrivato in Italia dal Marocco. Senza nessuno. E’ uno dei tanti minori stranieri non accompagnati, i cosiddetti MISNA, che approdano sulle nostre coste dalla sponda sud del Mediterraneo. Un inizio difficile, nel paese che per lui rappresenta la speranza di una vita migliore, tra Treviso e Padova; non si sa bene come vive e con chi. Si sa soltanto che vende rose per strada, poi entra in una comunità educativa per minori.

Un tempo che trascorre senza particolari risultati, perché quando dopo alcuni anni ne esce, senza documenti regolari, ricomincia a vivere per strada, cadendo inevitabilmente nella spirale della micro delinquenza, piccoli reati che gli aprono le porte del carcere. Un luogo dove – si dice – si “rieducano” le persone: chissà che dove non è arrivata la comunità educativa, possa arrivare il lungo braccio della legge. Quando Khalid esce, è ormai un uomo adulto, ma è sempre un uomo solo.

Gira, vaga un po’ per l’Italia, e alla fine arriva a Bologna, quasi per caso. Anche qui, nessuno che possa prendersi cura di lui, farlo sentire amato come un figlio. In breve, la stazione centrale diventa la sua casa, condivisa con tanti altri immigrati irregolari come lui. Gli unici ad avvicinarlo sono gli operatori sociali del Servizio mobile di Piazza Grande. “Quella di Khalid è una storia che ci racconta anche le politiche sull’immigrazione del nostro Paese e le difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno”, racconta una operatrice ai microfoni di Radio Città del Capo. “Sono in tanti nella sua stessa situazione: minori che entrano in comunità e poi, quando escono, si ritrovano soli perché non c’è nessuna progettualità. Speriamo che queste problematiche saranno affrontate in modo diverso, in futuro.”

Khalid ci parla anche, con gli Assistenti Sociali del Comune, che ne rilevano effettivamente la fragilità e la situazione di profondo disagio. Ma è troppo tardi, non  fanno in tempo a salvarlo: Khalid ha deciso infatti di farla finita, impiccandosi a un albero del Parco delle Caserme Rosse, in zona Corticella a Bologna.

Il suo gesto estremo è dunque un grido sordo che sale alto verso il cielo: si sarebbe potuto fare qualcosa per evitargli questa tragica sorte? Lo stato non si è preso cura veramente di lui: si è limitato a “parcheggiarlo” provvisoriamente in qualche comunità educativa, finché il ragazzo non è stato abbastanza grande da poter essere “scaricato” nuovamente sulla strada. Poi lo ha ripreso, ma solo per “sbatterlo” di nuovo dentro una cella.

Cosa sarebbe successo, invece, se Khalid avesse avuto subito la possibilità di essere accolto in una famiglia affidataria? Se fosse stato seguito da persone amorevoli e premurose come tanti genitori sanno essere? Se fosse stato accompagnato adeguatamente nel suo percorso di inserimento nella società, fatto sentire parte di un progetto, di un disegno, di un futuro condiviso? In questa realtà parallela, questa vicenda avrebbe avuto forse un lieto fine?

La storia – come noto – non si fa con i “se” o con i “ma”. Non sappiamo (e non sapremo mai) quale sarebbe stato il destino di questo giovane immigrato, che nel nostro paese cercava la vita e ha trovato invece la morte. Tutto quello che sappiamo per certo, è che Khalid era un bambino di 8 anni, arrivato senza nessuno dal Marocco e cresciuto da solo in Italia. E che è morto abbandonato in un parco a Bologna.

 

(Fonte: Radio Città del Capo)

 

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