Come si fa ad affidare un minore abusato a una famiglia? Non è meglio farlo seguire da professionisti?

Buongiorno, 

con mio marito ho accolto in affido bambini e adolescenti vittime di abusi, maltrattamenti e incuria. Ho vissuto sulla mia pelle il senso di inadeguatezza di due adulti che, al di là della generosità, non hanno competenze per relazionarsi in modo adeguato a questi minori fragili.

Chi stabilisce che la coppia ha le caratteristiche necessarie e la stabilità per sostenere il percorso riabilitativo del minore e accompagnarlo nel percorso di adozione o reinserimento nella famiglia d’origine? Non sarebbe meglio creare un albo degli educatori professionali e limitare l’affido a un anno, massimo due, per i casi più gravi? Ritengo necessario anche garantire rette più alte per la residenza in casa famiglia e provvedere a un buon servizio del Tribunale e degli assistenti sociali che garantiscano un passaggio veloce in casa famiglia.

 

PELLINICarissima,

non condivido il fatto che una famiglia non sia adeguata nell’accogliere bambini e ragazzi vittime di abusi e maltrattamenti. Anzi! Più che mai questi minori hanno bisogno di ricostruire un’immagine di famiglia sana facendo un’esperienza positiva a prescindere dalle difficoltà. Del resto il fatto che lei racconti di aver portato a termine più affidi, mi fa pensare che l’esperienza nel complesso sia stata per voi positiva, nonostante le perplessità espresse.

Certo alcune situazioni altamente compromesse possono aver bisogno di interventi più specialistici in comunità ad hoc, ma per il tempo strettamente necessario, come anche lei afferma.

Una famiglia che abbia seguito corsi di formazione e che venga accompagnata da operatori validi non può che ridare speranza ad un bambino disperato: le fatiche, che il minore stesso deve affrontare, vengono superate perché condivise con adulti accudenti, sicuri e affettivamente solidi.

Non è un problema di idoneità (adeguatezza) della coppia, l’importante è predisporre adeguati percorsi di accompagnamento. Discorso che vale per qualsiasi tipo di accoglienza, compresa l’adozione.

Sono invece assolutamente d’accordo sulla necessità di contenere la durata degli affidi; questo credo sia oggi il vero limite dell’accoglienza affidataria, il trascinare situazioni che non hanno prospettive positive. Queste situazioni logorano prima di tutto il bambino, poi la famiglia accogliente e probabilmente anche alcune famiglie d’origine.

Un’ultima precisazione: non confondiamo le case famiglia che vedono la presenza di una coppia sposata residente (una mamma e un papà!) con le comunità educative gestite da educatori professionali. Senza nulla togliere agli educatori, che dovrebbero avere un proprio albo professionale, l’accoglienza familiare deve essere sempre la prima opportunità per un bambino allontanato dalla propria famiglia.

 

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’accoglienza familiare temporanea