Quando conobbi i miei genitori, ebbi la sensazione di rinascere veramente

Un editoriale di Natale per augurare a tutti la serenità e la pace. Per guardare al passato in una prospettiva differente e sentire la libertà vera dell’accoglienza che non chiede nulla in cambio

L’abbandono è una parola che ha diverse sfumature di significato, diversi punti di vista, diversi tessuti di esperienza.
L’abbandono è un atto doloroso, non solo per chi lo subisce ma anche per chi lo compie, perché non si abbandona mai a cuor leggero.
Non mi sento di condannare totalmente questa azione, ma ogni tanto mi domando se la madre biologica abbia fatto di tutto per tenermi con sé, mi domando se abbia effettivamente pensato a tutte le soluzioni possibili prima di arrivare a questa rinuncia.
Per comprendere l’abbandono basta guardare gli occhi di coloro che sono stati abbandonati: spenti, vuoti, senza luce, senza speranza.
L’abbandono è un coacervo di emozioni negative che si accavallano nella mente in forma di pensieri frenetici, sconnessi, illogici… che cercano di razionalizzare qualcosa che razionale non è.
Un bambino parte ingenuamente dall’idea che un genitore accolga a prescindere, nonostante le difficoltà della vita e, partendo da questo presupposto, non può far altro che autocolpevolizzarsi: la dimensione della colpa accompagnata dal senso del rifiuto genera un soggetto totalmente frammentato e senza identità, senza comunità, senza radici.
Con gli anni ho imparato a fare pace con me stesso e con la mia storia; ho capito che idealizzare il passato può diventare spesso e volentieri una scusante per non agire più, per non fare, per non realizzarmi.
La domanda che bisogna porsi non è tanto il perché di tutto questo dolore, ma, piuttosto, come questo dolore può portare a fare di me una persona nuova?
Quando conobbi i miei genitori, ebbi la sensazione di rinascere veramente; l’abbandono si era tramutato in un’abbandonarsi completamente nell’amore, nello sguardo dei miei. E questo non me lo toglierà nessuno: ho avuto il grande privilegio della sofferenza che mi ha preparato all’evento della vita.
Il percorso dell’accoglienza rimane pur sempre un sentiero tortuoso e pieno di peripezie, ma sapevo che non era un peso che dovevo portare da solo.
Nell’adozione, ciò che prevale è la dimensione della reciprocità, perché anche io ho accolto la mia famiglia; è un accogliere nel mentre che si viene accolti, amare ed essere amati, desiderare ed essere desiderati in una spirale potenzialmente infinita.
Non si chiude mai col passato, ma ciò non significa che esso non possa essere guardato in una nuova prospettiva, una nuova chiave di lettura al fine di rendere veramente giustizia a ciò che si è vissuto.
L’essere abbandonato non può essere una scusante per non agire! Questo è un crimine che commettiamo contro noi stessi e contro il bambino che ha sofferto per quella situazione.

Artiom