Coronavirus. Brasile. Quando nelle terapie intensive a morire sono i bambini soli, senza i genitori

La drammatica testimonianza dei pediatri: “Nella nostra unità non permettiamo la presenza di familiari come prima, per il rischio di contaminazione. Non abbiamo abbastanza equipaggiamenti di protezione personale da mettere a disposizione dei genitori”.

Il mondo continua a combattere la sua battaglia contro il covid-19. Vaccinarsi è l’unica arma per sconfiggere definitivamente il maledetto virus che ha fermato le nostre vite, che ci ha allontanato dai nostri cari e che ci costringerà a trascorrere una Pasqua in zona rossa, (ad eccezione delle Regioni o Province autonome i cui territori si collocano in zona bianca).

Desta preoccupazione la risalita dell’RT in tutta Italia, che secondo l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità,  presenta un indice dell’ 1.16, complici anche la presenza di varianti più virulente che sembrano diffondersi con maggiore facilità anche tra bambini ed adolescenti.

In Brasile le terapie intensive sono al collasso

Intanto dall’altra parte del mondo, il Brasile sta affrontando una nuova ondata di contagi  molto più aggressiva per la presenza della pericolosa variante amazzonica.

La situazione appare fuori controllo con le unità di terapia intensiva al collasso in 25 delle 27 capitali statali del Paese – riporta l’Osservatore Romano –  Per due giorni consecutivi il bilancio delle vittime ha superato le 2.200 unità, portando il totale a quasi 273.000” .

A vegliare sui pazienti infettati dal virus e che sono dovuti ricorrere al ricovero ospedaliero ci sono loro: medici ed infermieri. Professionalità mescolata ad una profonda sensibilità. Angeli al servizio dei più deboli  24 ore su 24, sempre e per tutti, ma soprattutto quando ad essere ricoverati per coronavirus sono dei bambini.

Cinara Carneiro, è una di loro. un medico. Una pediatria per la precisione. Lavora all’Unità di Terapia Intensiva (UCI) di Covid-19 dell’Ospedale Pediatrico Albert Sabin di Fortaleza, nello Stato di Ceará (nord-est del Brasile). La sua missione è quella di prendersi cura di neonati, bambini e adolescenti che lottano per rimanere in vita a causa della pandemia.

A riportare la sua testimonianza è il web magazine Aleteia.

Un compito difficile ed impegnativo, in cui si mescolano umanità e professionalità, anche se interagire, rassicurare e sostenere i piccoli pazienti oggi è più complicato.

Con il coronavirus si è modificato il modo di prestare il proprio servizio a favore dei più piccoli racconta, le mascherine nascondo i sorrisi, le carezze sono vietate per motivi di sicurezza. Soprattutto in terapia intensiva.

“L’interazione con il bambino, con maschera e camice, è una cosa che ci fa soffrire. – racconta Cinara Carneiro – Nella nostra unità non permettiamo la presenza di familiari come prima, per il rischio di contaminazione. Non abbiamo abbastanza equipaggiamenti di protezione personale da mettere a disposizione dei genitori”, racconta.

Immaginate cosa voglia dire per un bambino essere solo in un letto di ospedale senza la possibilità di poter avere i propri genitori accanto.

Così per avvicinare i piccoli pazienti alla propria mamma ed al proprio papà, il personale sanitario ha deciso di realizzare una colletta per poter acquistare un tablet e permettere a bimbi e genitori di guardarsi negli occhi anche se tramite web.

Fortunatamente sono rari i casi gravi di covid tra i più giovani. 

Capita, però a volte, che seppur si cerchi di fare tutto il possibile per salvare quelle piccole vite, le cose non vadano come sperato…

Fa male vedere un bambino morire senza vedere i suoi genitori. Il lutto di quei familiari è molto duro per il fatto di non averlo visto, per non averne monitorato fisicamente il deterioramento – racconta Cinara Carneiro – Per quanto cerchiamo loro di spiegare la situazione per telefono, molte cose bisogna viverle”.

Loro, i medici, gli infermieri, in attesa di vincere questa lunga battaglia sono lì in prima linea a portare la loro professionalità ed il loro conforto. Nostro compito e fornire loro tutto l’aiuto possibile: rispettando le regole e vaccinandoci quando sarà il nostro turno. Un dovere civico e morale per noi stessi, per chi amiamo e per la società tutta.