Crisi in Congo: le cose da sapere

guerriglia congoUna guerra improvvisa è arrivata a complicare la già difficile situazione delle 24 coppie adottive italiane rimaste bloccate nella Repubblica Democratica del Congo dopo la sospensione delle pratiche adottive dei loro bambini. Così, mentre alla periferia della capitale Kinshasa i nostri connazionali rischiano di perdere il lavoro e di prosciugare i risparmi, non vedendo all’orizzonte una strada per portare a casa i propri figli, nei centri nevralgici della capitale congolese nei giorni scorsi impazzava la guerriglia.

L’apice degli scontri è stato raggiunto lunedì 30 dicembre, quando un gruppo di ribelli ha preso d’assalto l’aeroporto e la sede della tv di Stato prima che l’esercito governativo riprendesse il “controllo totale della situazione”, a costo, però, di decine di morti. Quanto è avvenuto è difficilmente comprensibile per le coppie italiane bloccate a Kinshasa, ma non è chiaro neanche alla maggior parte dei congolesi. Lo stesso governo ha ammesso che “il problema è capire chi siano gli aggressori”: ufficialmente i responsabili sono i ribelli guidati dal sanguinario Joseph Mukungubila Mutombo, ma sull’identità precisa del movimento restano molti dubbi. Potrebbero avere a che fare con i secessionisti del Katanga e con gli islamisti ugandesi, a dimostrazione del fatto che i focolai di crisi nel Paese abbondano.

Per comprendere il perché di tante sparatorie, città sotto coprifuoco, esecuzioni sommarie bisogna tornare al 5 novembre scorso. In quella data il presidente Kabila ha raggiunto l’accordo di fine delle ostilità con i ribelli del Movimento 23 Marzo. Appartenenti all’etnia tutsi, i guerriglieri del M23 hanno chiesto, per la ripresa dei negoziati pacifici, l’autonomia per la regione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo e la tutela dei diritti per il proprio gruppo etnico.

L’armistizio non è piaciuto proprio a Mukungubila Mutombo, 54enne sfidante di Kabila alle elezioni presidenziali del 2006. In quell’occasione non arrivò neppure al ballottaggio, rimanendo sconosciuto alla maggioranza dei suoi connazionali, ma già a quei tempi si scagliava contro il Ruanda. I ribelli di cui egli si è reso leader, durante l’assedio della sede della tv di Stato di lunedì, hanno fatto leggere ai giornalisti un messaggio in cui si incitavano i congolesi a liberarsi dalla “schiavitù” proprio dei ruandesi. Autoproclamatosi “profeta dell’eterno” e particolarmente attivo sul web, Mukungubila Mutombo punta a infiammare la popolazione del Congo, infarcendo i suoi proclami religiosi di rivendicazioni territoriali e politiche, con l’obiettivo, stando alle sue parole, di perseguire il “Ministero della Restaurazione nell’Africa Nera”. In particolare, il sedicente pastore di Kinshasa accusa il governo Kabila di essere servo del Ruanda e dell’etnia tutsi al potere e aizza le pulsioni secessioniste del Katanga, a sud del Paese, ricchissimo di giacimenti minerari.  La regione, proprio alla vigilia degli scontri del 30 dicembre, era stata dichiarata “insicura e a rischio di ribellione”, anche alla luce dell’evasione dal carcere di Lubumbas di un altro leader di milizie armate, Gédéon Mutanghai, capo dei guerriglieri Mai-Mai, già condannato per crimini contro l’umanità durante la Seconda Guerra del Congo (1998-2003).

Nel frattempo, a nord del Paese, lungo la frontiera con l’Uganda, sono riesplosi gli scontri tra l’esercito congolese e le milizie locali. Analoga situazione nella regione del Nord Kivu, tra Sud Sudan, Congo e Ruanda, dove il 26 dicembre almeno 40 civili sono stati uccisi in un villaggio per mano dei ribelli dell’Alleanza democratica per la liberazione dell’Uganda. I guerriglieri ugandesi, cristiani convertiti all’Islam, dal 2010 vivono infiltrati nell’Est della Repubblica Democratica del Congo e gestiscono stabilmente i traffici clandestini di materie prime, forti anche dell’integrazione con le comunità locali e di accordi con le autorità provinciali. Ma le frizioni con l’esercito regolare sono all’ordine del giorno.

L’accordo tra il presidente Kabila e i ribelli del Movimento 23 Marzo dello scorso novembre è andato a sbloccare le trattative ferme dall’aprile scorso a causa dell’invasione proprio del Nord Kivu da parte delle milizie del M23. Nella regione, già occupata dai Caschi Blu dell’Onu, 200mila persone hanno dovuto abbandonare le proprie case e oltre 20mila si sono rifugiate in Ruanda e in Uganda. Lo stesso presidente Kabila e il suo collega ruandese Paul Kagame, il 15 luglio scorso, accettarono l’invio di una nuova forza internazionale in Kivu, prima dell’intesa del 5 novembre.

Una situazione costantemente esplosiva, quella della RDC, in cui 24 famiglie italiane attendono da settimane un segnale che possa dare loro la speranza di poter tornare a casa con i propri bambini.

 

 

Fonte: Lettera 43