Cristina Riccardi: “Altro che genitori usa e getta, con l’affido si impara ad amare”

pannolini-ecologici350Egregio Dott. Stella,

mi permetto di proporLe alcune considerazioni rispetto a quanto da Lei sostenuto nell’intervento del 3 settembre “Bambini parcheggiati in attesa di adozione”.

La prima e mortificante impressione è che, come spesso accade, di affido familiare si parli in termini negativi, allontanando così potenziali famiglie da una delle più belle esperienze che si possano fare da adulti consapevoli delle responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti di un bambino, uno qualsiasi, in difficoltà. Dico questo da mamma affidataria che non ha avuto la fortuna di fare un’esperienza del tutto positiva in termini di progetto, ma assolutamente positiva in termini di relazione con i bambini a lei affidati e con la loro famiglia.

Proseguo le mie riflessioni facendo  riferimento anche alla mia esperienza decennale nella formazione e nell’accompagnamento di famiglie affidatarie nonchè nell’apertura di case famiglia all’interno dell’associazione Ai.Bi. Amici dei Bambini. Anni in cui ho avuto la fortuna di assistere al lieto fine di tante storie, ma anche a situazioni di parcheggio o a storie con esiti ancora più tragici.

Non mi ci ritrovo per nulla nella sua definizione dei genitori affidatari come di genitori usa e getta. Chiunque si avvicini all’accoglienza familiare temporanea sa bene che il bambino che accoglierà non diventerà suo figlio se non in casi molto particolari, sa bene che l’obiettivo sarà il rientro in famiglia d’origine e quando non possibile in famiglia adottiva. Questo vale anche quando si accolgono bambini piccolissimi già destinati all’adozione. A detta delle famiglie affidatarie una delle esperienze più belle è proprio il mettersi al servizio di un bimbo in attesa che arrivino la sua mamma e il suo papà per sempre. Di questo e del lieto rientro in famiglia del proprio figlio affidato, gioisce una famiglia veramente accogliente. Inutile dire che chi riesce a vivere serenamente questa esperienza, ne riceve in cambio un arricchimento personale e familiare senza uguali.

Come Lei riferisce, l’articolo 44 della legge 149/2001 prevede che la famiglia affidataria diventi adottiva del bambino accolto se questo risulta essere il “superiore e preminente interesse del bambino”. Il fattore tempo è solo uno degli elementi che un servizio sociale serio e un giudice responsabile devono valutare per capire quale sia l’effettivo bene del bimbo in questione. Ci sono altri elementi da considerare: la relazione che la famiglia affidataria ha instaurato col bambino, la relazione che anche eventuali fratelli hanno instaurato, la relazione pregressa tra la famiglia affidataria e la famiglia d’origine e altro ancora … Senza entrare nel merito della storia di Anna, che bisognerebbe conoscere meglio, condivido quanto indicato dalla legge e quanto praticato dalla maggioranza dei giudici che non fanno del fattore tempo l’elemento discriminante, come vorrebbe il ddl 1209 del 2013.

Se vogliamo parlare di tempo e di parcheggio, perchè non cerchiamo soluzione per quel 60% circa di accoglienze temporanee che si trascinano ben oltre i 24 mesi previsti dalla legge a causa delle inadempienze di servizi sociali che non seguono (per scelta o per mancanza di risorse!) i progetti d’affido fino alla soluzione? Ma attendono il compimento del diciottesimo anno d’età del minore in modo da dimetterlo definitivamente dal sistema lasciando a carico della famiglia affidataria, per anni e anni, ogni responsabilità fino all’esaurimento anche di questa?

Perchè ci preoccupiamo di adeguare la normativa al fatto che la maggioranza degli affidi durano molto più di quanto prescritto dalla norma e non ci preoccupiamo di risolvere nel più breve tempo possibile quelle situazioni di allontanamento dalla famiglia che tanta fatica e disagio generano nei bambini e nei ragazzi? Che adulti pensiamo di farne? Quando capiremo che per i nostri figli non si spende mai, ma si investe in un futuro migliore per tutti?

Mi sembra che sia opportuno ribaltare la questione, creando un sistema che meglio risponda alle esigenze dei bambini e delle famiglie in difficoltà, che preveda veri percorsi di accompagnamento al superamento del disagio che ha causato l’allontanamento dei figli con il contenimento dei tempi, qualora non sia possibile alcun recupero e necessaria l’adozione. In Italia ci sono decine di associazioni familiari che hanno un bagaglio di esperienza tale che potrebbe essere sfruttato coprendo la mancanza di risorse dei servizi sociali al tracollo. Ci sono migliaia di famiglie aperte all’accoglienza. Perché non sfruttare queste risorse iniziando col raccontare belle esperienze di accoglienza temporanea sui nostri giornali?

La ringrazio per l’attenzione

 

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’accoglienza familiare temporanea