Dichiarazione di adottabilità: verificare anche le capacità genitoriali dei parenti fino al quarto grado

giudiceL’adottabilità di un bambino è pronunciata in Italia nel caso in cui venga accertata la situazione di abbandono, e questa non è certo una novità.

Sulla dichiarazione dello stato di adottabilità è tuttavia intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n.16897 del 19 agosto 2015, chiarendo meglio come possa considerarsi rispettato il principio secondo cui ogni minorenne ha diritto di vivere nella propria famiglia di origine.

Valutando un caso deciso dalla Corte d’appello e, ancor prima, dal Tribunale per i minorenni di Brescia, la Suprema Corte ha accolto il ricorso degli zii paterni di due bambini che erano stati dichiarati adottabili già nell’anno 2014.

L’accertamento della inadeguatezza dei genitori e la loro decadenza dalla responsabilità genitoriale non sono stati messi in discussione. E’ stato però chiarito un punto molto importante: la verifica delle capacità genitoriali va compiuta non solo nei confronti dei genitori ma anche nei confronti dei parenti fino al quarto grado che si dichiarino disponili ad accogliere i bambini.

In particolare, è stato notato dalla Corte Suprema che l’esclusione di rapporti significativi tra i bambini e gli zii paterni intervenuti nella causa in primo grado era stata fatta sulla base di una semplice dichiarazione del perito basata sul fatto che gli zii erano intervenuti nella causa con ritardo. Per potere escludere che nella famiglia di origine vi siano capacità e potenzialità di accadimento e cura è invece necessario – per i giudici della Suprema Corte – procedere con un “rigoroso accertamento della non recuperabilità di un contesto familiare adeguato“. In altre parole, sarebbe stato necessario un “accertamento diretto delle personalità degli zii, del loro rapporto con i figli, al fine di verificarne la capacità genitoriale, della relazione con i nipoti”; accertamento che, normalmente, non può che trovare il suo riscontro più appropriato nell’osservazione, diretta, della condizione esistenziale e materiale delle persone che hanno offerto la propria disponibilità a supplire alle carenze genitoriali”.

Tutti accertamenti specifici che nel caso in questione sarebbero mancati. Per questo motivo il caso torna indietro alla Corte d’appello che dovrà compiere con accuratezza le verifiche che già il tribunale a sua volta avrebbe dovuto compiere e cui nessuno aveva provveduto.

 

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Quello che meraviglia di questa importante sentenza è una circostanza temporale non di poco conto: mentre i giudici della Suprema Corte hanno deciso il 26 giugno 2015, la sentenza è stata depositata in cancelleria solo il 19 agosto 2015, ben 1 mese e tre settimane dopo!

Dovendo a questo punto attendere la nuova sentenza della Corte d’appello di Brescia, che incaricherà i servizi sociali competenti delle dovute valutazioni, è chiaro che questo tempo buttato via per semplici adempimenti burocratici non restituirà mai ai due bambini il corrispondente periodo di vita in famiglia.

E la stessa necessità di decidere nuovamente in Corte d’appello un caso già trattato, mentre i bambini coinvolti si trovano nel più delicato dei bivi che riguarda il loro futuro, invita a riflettere sulla applicazione che nel nostro Paese viene fatta in concreto del “superiore interesse del minore”… uello stesso interesse che dovrebbe condurre ogni operatore, ad ogni livello, a trattare con urgenza e priorità ogni adempimento che coinvolga i diritti di un minorenne.

E’ evidente, allora, che un intervento più attento da parte dei Tribunali italiani è auspicabile.