Duemila come Saman in Italia: ma sono solo la punta di un iceberg

Almeno duemila le giovani immigrate costrette a matrimoni combinati con uomini sconosciuti: c’è chi si sottomette al suo destino, chi cerca di trattare, chi si ribella e viene “convinta” a suon di violenze e chi punita per il rifiuto, con la morte

Che fine ha fatto Saman Abbas?

Purtroppo, sembra ormai essere certo, la fine peggiore.

Della ragazza, dal 30 aprile scorso, non si hanno più notizie.  La Procura di Reggio Emilia ha aperto un fascicolo per omicidio. Cinque gli indagati: i genitori, uno zio e due cugini. Sono continuate anche nella giornata di ieri le ricerche del corpo della coraggiosa ragazza di origine pakistana, nei terreni, a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, dove secondo gli inquirenti potrebbe essere stata sepolta dopo essere stata uccisa.

Certo, la fiamma della speranza di ritrovarla ancora in vita, rimane sempre accesa, ma dopo il racconto del fratello sedicenne della ragazza agli investigatori e le immagini registrate da alcune telecamere di sorveglianza che mostrano tre uomini con una pala ed altri attrezzi da lavoro, le speranze di ritrovare viva la giovane iniziano davvero a vacillare.

Saman era pakistana, ma voleva essere una giovane donna occidentale, con il sacrosanto diritto di scegliere chi amare, cosa indossare, come truccarsi. Con la voglia di mettersi il rossetto sulle labbra, vedersi bella, ridere, vivere. Lo testimoniano le sue foto, il cambiamento del suo volto, più curato, per nulla differente a qualsiasi altra giovane bellissima ragazza occidentale.

“II cambiamento del volto di Saman – commenta La Nazione- racconta anche la battaglia tra genitori e figlie della migrazione”.

Saman amava un suo connazionale conosciuto in Italia, scelto da lei, ma il suo destino, come per tante giovani del suo Paese era un altro: un matrimonio combinato in Pakistan con un cugino.

In fondo Saman era solo una donna, merce di scambio, priva del diritto di decidere della sua vita, nulla di nuovo, nel 2021 per tanti Paesi, per tante culture.

ll minore ha racconto di una lite furibonda della sorella con i genitori. Della richiesta della giovane al padre di darle i documenti e del suo rifiuto. Della fuga di casa. Della comparsa dello zio…

Non era la prima volta che Saman andava via di casa. Vi era tornata l’11 aprile scorso, dopo aver trascorso 4 mesi in una comunità educativa per minori nel bolognese. “Era stata lei a chiedere l’intervento dei servizi sociali dopo aver capito che le si prospettava il ritorno in patria e un matrimonio combinato – si legge sul Secolo XIX– ma dopo quattro mesi, l’11 aprile, era tornata a casa a recuperare i documenti”.

E c’è chi si chiede se sia stato fatto abbastanza per tutelare Saman.

Ebla Ahmed presidente dell’associazione “Senza veli sulla lingua” in una trasmissione ha definito un errore avere inserito la ragazza “in una casa-famiglia, mantenendo il cellulare, raggiungibile dalla famiglia, con la possibilità di uscire liberamente. Non è così che si proteggono le donne” A riportalo è il quotidiano la Nazione.

Tutte le Saman della porta accanto…

Saman non è un caso isolato. Ogni giorno qualche giovane immigrata dell’appartamento accanto, deve fare i conti con un padre padrone, con tradizioni inconcepibili, con diritti negati.

Come la giovanissima adolescente pachistana di Viareggio, il cui padre, si apprende dal Giornale, ha intimato “sposati chi dico io o ti ammazzo!”

Secondo quanto riportato dal quotidiano, le giovani immigrate costrette a matrimoni combinati con uomini sconosciuti e abitanti nel loro Paese d’origine sarebbero almeno 2.000 l’anno, ma rappresenterebbero solo la punta di un iceberg.

A volte i matrimoni combinati, racconta la sociologa Mara Tognetti, possono essere un modo per entrare in Italia grazie al ricongiungimento familiare. Ci si sposa per procura e poi si chiede il ricongiungimento e il permesso di soggiorno e “un visto per l’Italia è una dote non da poco”.

C’è chi si sottomette al suo destino, chi cerca di trattare, chi si ribella e viene “convinta” a suon di schiaffi e di violenze e chi punita per il rifiuto con la morte.

Alcuni dei loro nomi li ricorda il Corriere della Sera:

si chiamava Hina Saleem, aveva 20 anni e aveva deciso di vivere con il suo fidanzato italiano quando il padre, nel 2006 decise di ucciderla a coltellate perché troppo poco mussulmana… Sanaa Dafani, di anni ne aveva invece 18, nel 2009, quando venne uccisa da suo padre perché amava un italiano… Sana Cheema ne aveva invece 25, nel 2018 fu uccisa in Pakistan dove si era opposta ad un matrimonio combinato.

Voleva ritornare in Italia.

 

Foto (ANSA)