È giusto mettere un bambino di 5 anni in una comunità educativa?

Spettabile Ai.Bi.

Vorrei un chiarimento su un argomento che, negli ultimi tempi, ha attirato il mio interesse. Vi spiego. Vivo in quartiere di periferia di una grande città del Nord, dove il tessuto sociale è piuttosto problematico. La famiglia che abita nell’appartamento affianco al mio vive da diverso tempo una situazione di profondo disagio. Qualche settimana fa, per decisione del Tribunale dei minori, il loro bambino di 5 anni è stato allontanato da casa e condotto in una comunità educativa.

Quest’ultima decisione mi è parsa “strana”. In Italia esiste una legge – la L. 184 del 4 maggio 1983, poi modificata dalla L. 149 del 28 marzo 2001 – che sancisce che i minori in situazione di instabilità famigliare debbano essere accolti, in prima istanza, da una famiglia disponibile e, solo in mancanza di essa, posti in una comunità educativa.

Nella vicenda del figlio dei miei vicini di casa, invece, si è proceduto diversamente. E sono venuta a sapere che casi simili sono piuttosto diffusi. Mi chiedo pertanto: perché questa legge non viene osservata?

Vi ringrazierei molto se mi forniste dei chiarimenti.

Donatella

 

 

cristina riccardi lad okBuongiorno Donatella,

l’articolo della legge 184/1983 che disciplina il collocamento del minore temporaneamente allontanato dalla propria famiglia di origine è il numero 2. Il quale, al comma 1, afferma che: “Il minore temporaneamente privo di un ambiente famigliare idoneo (…) è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. E al comma 2 prosegue: “Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare” o in una comunità educativa (fino al 2006 era previsto anche l’inserimento negli istituti, aboliti a partire dal 31 dicembre di quell’anno).

Nella prassi, non sempre il collocamento in una famiglia affidataria viene scelto in via prioritaria rispetto a quello in comunità. A volte questi minori, a causa dei traumi subiti, non sono pronti per entrare immediatamente in un altro nucleo famigliare. Spesso infatti provengono da disagi e maltrattamenti subiti dai propri genitori. E alla luce di questo, entrare in contatto immediatamente con nuove figure genitoriali potrebbe non essere la soluzione ideale. In questi casi, si sceglie di procedere con un collocamento in comunità per permettere ai minori  di “ricostruire i pezzi della propria vita”, elaborando i disagi vissuti nelle famiglie di provenienza.

Il tempo di permanenza in comunità dovrebbe però essere quello strettamente necessario al minore per superare questa prima fase. Si dovrebbe trattare quindi di un periodo di transizione che precede il collocamento in famiglia.

È necessario precisare, comunque, che, per questa fase di transizione, sarebbe sempre preferibile il collocamento in casa famiglia piuttosto che in comunità educativa: la prima, infatti, rappresenta il contesto adeguato in cui il minore può elaborare al meglio i disagi da cui proviene, prima di essere inserito in affido famigliare.

Queste, ovviamente, sono considerazioni generali: in relazione al caso concreto dei suoi vicini di casa, infatti, Ai.Bi. non conosce le motivazioni che hanno indotto il Tribunale all’inserimento del minore in comunità.

 

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’affido