Eliminando le comunità educative non ci si priverebbe di una forma di assistenza per i minori?

Buongiorno,

vivo a Trento e ho recentemente letto sul vostro sito l’articolo in cui si parla del disegno di legge con cui il Consiglio provinciale della mia città ha previsto la chiusura delle comunità educative entro il 2017. Non capisco però il perché di questa scelta a vantaggio delle case famiglia che possono ospitare solo pochi bambini e quindi non riuscirebbero ad assorbire l’ingente numero di minori fuori famiglia attualmente presenti in Italia. Le comunità del resto sono strutture in cui i minori sono attentamente seguiti da personale specializzato e ospitano un numero piuttosto ridotto di bambini, rispetto ai vecchi e fortunatamente soppressi istituti. Davanti al numero ancora notevole di minori fuori famiglia, che bisogno c’è di chiudere le comunità educative? Non vorrebbe dire eliminare una forma di assistenza per questi bambini?

Grazie per l’attenzione,

Antonello

 

 

MACCHINA DA SCRIVERECaro Antonello,

grazie innanzitutto per il tuo interessamento a una questione così delicata. La risposta verte attorno a un assunto fondamentale che è il seguente. La maggior parte dei bambini fuori famiglia ha vissuto l’allontanamento dai genitori a causa di trascuratezza, maltrattamento, episodi di violenza, tossicodipendenza o alcolismo da parte dei genitori stessi. Per questi bambini, vittime di traumi particolarmente profondi, la risposta è l’accoglienza familiare. È con essa, e con il supporto di preparati educatori, che anche i ragazzi più problematici possono trovare una reale e necessaria risposta ai propri bisogni.

Chiudere le comunità educative non significa privare questi ragazzi del sostegno professionale, che nelle case famiglia è presente. Amici dei Bambini non afferma infatti che l’accoglienza familiare da sola possa risolvere tutti i problemi, ma semplicemente che un minore non possa avere una crescita serena senza una famiglia. Ad affermarlo c’è anche la legge 149/2001 che parla di “comunità di tipo familiare” per l’accoglienza dei minori allontanati dai genitori biologici.

Lo scopo della Casa Famiglia quindi è quello di accogliere i bambini che ne hanno bisogno, facendo assaporare loro il clima familiare, in modo da poter dare loro gli strumenti necessari per essere poi accompagnati verso un progetto di vita definitivo: l’adozione o il rientro in casa. Un aspetto questo non sempre garantito all’interno di una struttura diretta solo da operatori, come appunto la comunità educativa.

Ai.Bi., nello specifico, propone un preciso modello di casa famiglia, fondato su una coppia di coniugi che, avendo già avuto esperienza di affido familiare, dà la disponibilità ad accogliere fino a un massimo di 6 minori, a differenza delle comunità educative in cui si può arrivare anche a 10. In questo tipo di realtà, il minore viene protetto e tutelato, potendo sperimentare il clima familiare e arrivare preparati a un eventuale progetto di affido, di adozione o di rientro a casa. Nel suo modello di casa famiglia, Ai.Bi. mette a disposizione della famiglia accogliente il supporto di un educatore più quello di una psicologa e di un coordinatore che mantenga i contatti con i Servizi Sociali e sviluppi la rete di famiglie. Per le sue case famiglia, infine, Ai.Bi. cerca di far rimanere il minore nella zona di residenza della sua famiglia, in modo da fargli mantenere i legami con il suo territorio di appartenenza.

Nella speranza di aver risposto in modo esauriente alla tua domanda, ti inviamo un caro saluto,

Ufficio Stampa di Ai.Bi.