Fame di Mamma. Si impara e si cresce a qualsiasi età e per tutta la vita

La storia di Mina, che dopo un viaggio di dolore e speranza ha scoperto che la rinascita può cominciare da una penna, un quaderno e un sogno

Quando Mina è arrivata in Italia non parlava una parola di italiano e si sentiva “troppo vecchia” per tornare a scuola. Oggi, con suo figlio che cresce al nido e i pennelli di un corso di pittura tra le mani, racconta una lezione preziosa: non è mai troppo tardi per imparare, cambiare, rinascere.

La testimonianza di Mina

Mi chiamo Mina, ho 25 anni e vengo da un piccolo paesino di una terra sconfinata, ricca di storia e di cultura.
Una delle maggiori città della mia nazione è famosa per unire l’Oriente all’Occidente, grazie a un canale che, per la sua forma e per il colore dorato che assume l’acqua al tramonto, è chiamato “Corno d’Oro”.
Io non sono cresciuta vicino a questa megalopoli, e perciò ho sperimentato sulla mia pelle le grandi differenze e le difficoltà che caratterizzano il mio Paese.
Una parte della mia nazione è sviluppata e molto connessa all’Occidente: le donne imparano a leggere, a scrivere, viaggiano e possono scegliere liberamente cosa fare e dove andare. Ma dall’altra parte non ci sono le stesse possibilità.
Io sono nata in quella “altra parte”, una terra disegnata dal vento e dalle piogge, ricca di bellezza e colori che molti visitano per passeggiare tra i villaggi scavati nelle montagne e ascoltare mille storie di fate, coraggio, magia e romanticismo. Tuttavia, questa natura spettacolare non può essere goduta da tutti.

Sogni da ridimensionare

Le differenze economiche e culturali sono enormi. I miei genitori, come la maggior parte delle persone che ho conosciuto, faticano a provvedere alle necessità essenziali e non hanno avuto la possibilità di studiare, di viaggiare o di scegliere liberamente, come invece accade a chi vive nelle grandi città.
Io stessa ho imparato a parlare la lingua locale e a scrivere le lettere dell’alfabeto solo per poter mettere la mia firma su documenti importanti, come quello del mio matrimonio. E anche se da bambina sognavo di diventare un’artista famosa che viaggiava per il mondo, pian piano ho dovuto ridimensionare i miei sogni e il mio mondo.

L’incontro con Emir

A diciassette anni mi hanno presentato Emir, l’uomo che oggi è il padre del mio tesoro più grande: mio figlio Can. Non ho potuto scegliere mio marito, ma mi fidavo della mia famiglia e ho voluto credere che, se l’uomo scelto per me aveva un nome che in italiano significa “principe” o “comandante”, fosse un buon auspicio per la nostra vita insieme.
Certo, non vivevamo in un palazzo come quello dei sultani, ma Emir non mi ha mai fatto mancare nulla. Purtroppo, quattro anni fa, quando finalmente avevamo sistemato la nostra casa e tutto sembrava pronto per allargare la famiglia, un fortissimo terremoto ha devastato la nostra terra e la nostra abitazione. Ci siamo ritrovati senza un tetto, senza lavoro e senza prospettive.

Viaggio in Italia

Emir, però, mi propose di dare una svolta alla nostra vita, tentando di cambiare il nostro futuro e quello dei nostri figli trasferendoci in Europa — più precisamente in Italia. Come avrei potuto dirgli di no? Sembrava che i sogni che avevo da bambina potessero finalmente uscire dal cassetto dove li avevo rinchiusi.
Così, con la fiducia e la speranza che ho sempre riposto in lui e in noi, ho raccolto le poche cose sopravvissute al terremoto e siamo partiti. Il viaggio è stato lungo e terribile: abbiamo rischiato di perderci e persino di morire quando ci hanno fatto imbarcare su una barca sovraffollata, che ha incontrato un mare in tempesta. Mi sono aggrappata a tutti i miei sogni, alle mie speranze e all’amore per quella famiglia che allora esisteva solo nel mio cuore. Alla fine, siamo riusciti ad arrivare in Italia.
Qui, alcuni connazionali hanno aiutato Emir a trovare lavoro e ci hanno ospitato mentre cercavamo una casa tutta nostra. Anche se mio marito faceva del suo meglio, per me lo scontro con la realtà fu durissimo. Non riuscivo a imparare la lingua, stavo sola per la maggior parte del tempo e ho perso il sorriso, cadendo nello sconforto.

Una nuova vita

E anche se poco dopo scoprii che una nuova vita cresceva nel mio ventre, non riuscivo a essere felice. Come se non bastasse, le nostre famiglie, rimaste in patria, ci chiedevano aiuti economici, ed Emir non riusciva più a provvedere a tutto. La frustrazione lo rese più nervoso e scontroso, e ben presto perse il lavoro.
Io ero ormai agli ultimi mesi di gravidanza, vivevamo di carità e dell’ospitalità occasionale di alcuni amici. Le liti tra noi erano all’ordine del giorno.
Un giorno, una nostra amica connazionale ci disse che avrei potuto chiedere aiuto ai servizi sociali, vista la mia gravidanza. Emir non si fidava e non era d’accordo, ma io decisi comunque di provarci.I servizi sociali furono molto gentili: chiamarono una mediatrice e mi spiegarono che potevano accogliermi in una casa con persone chiamate “educatori”, che mi avrebbero aiutato vista l’imminenza del parto.
Con loro ho potuto fare i controlli medici, la mia prima ecografia, e ho visto per la prima volta la nuova vita che si muoveva dentro di me. Mi hanno sostenuta anche dopo la nascita di Can, aiutandomi a leggere i suoi bisogni, a rispondergli nel modo giusto e a chiedere supporto quando mi sentivo troppo sola.
Piano piano la malinconia è svanita, e la gioia ha preso il posto della tristezza.
I servizi sociali non si sono occupati solo di me: hanno voluto aiutare anche Emir, anche se non poteva vivere nella casa delle donne dove stavo io. All’inizio lui faticava a fidarsi ed era troppo concentrato sulla ricerca di un lavoro, ma col tempo — anche grazie a qualche discussione con me — ha capito che doveva accettare quell’aiuto, per il bene della nostra famiglia .Poco a poco, lo hanno aiutato ad affrontare la sua tristezza, e ha iniziato a incontrare regolarmente me e nostro figlio.

Il primo giorno di scuola

Oggi Emir ha trovato un lavoro, Can frequenta il nido e io, da questa settimana, ho iniziato la scuola di italiano.
All’inizio mi sentivo troppo vecchia per tornare a scuola, pensavo di essere “fuori tempo massimo”, ma le educatrici mi hanno spiegato che non si è mai troppo grandi per imparare — anche loro, che hanno studiato tanto, ogni tanto tornano a scuola.
Mi hanno aiutato a riscoprirmi forte, coraggiosa e creativa. Così ho preso penna e quaderno e, dopo aver accompagnato Can al nido, sono andata al mio primo giorno di scuola.
La maestra usa dei disegni per spiegare le parole, e ci ha fatto parlare in italiano fin dal primo giorno. Per ora conosco poche parole, ma voglio essere un esempio per mio figlio.
Voglio che ricordi la forza che la sua mamma ha avuto per lui e per il nostro futuro.
Insieme al corso di italiano, ho iniziato anche un corso di pittura. Chissà, magari quella bambina che sognava di diventare un’artista capace di unire Oriente e Occidente… non sognava poi così in grande.

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