Fecondazione eterologa. “Come reagirà mio figlio quando scoprirà le sue origini?”

Le coppie spesso procedono nel percorso della fecondazione eterologa senza la dovuta consapevolezza di cosa potrebbe comportare nel futuro, sia rispetto agli equilibri di coppia, sia rispetto alla relazione coi propri figli

Che differenza c’è tra Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) omologa e eterologa?
La differenza tra i due trattamenti di procreazione medicalmente assistita è molto semplice: in quella omologa gli spermatozoi e l’ovocita appartengono biologicamente a entrambi i futuri genitori; in quella eterologa un gamete maschile o un gamete femminile appartengono a un donatore o a una donatrice esterno alla coppia.
La PMA omologa è ormai inserita nei percorsi sanitari pubblici da circa 20 anni, mentre quella eterologa è stata autorizzata in Italia dal 2015 dall’allora Ministra della Salute Lorenzin, per diventare operativa con le Linee Guida nel 2017. Prima di allora le coppie che ricorrevano a tale tipo di procedura si recavano esclusivamente all’estero, facendosi carico di costi notevoli, tali da poter rappresentare un limite per molte coppie.
Perciò, anche se già da tempo sul nostro territorio erano presenti i figli dell’“eterologa”, solo negli ultimi anni i numeri sono aumentati, rendendo la questione molto attuale e soprattutto rendendo necessario un dibattito sociale in merito.

Ciò che occorre sapere

Il passaggio verso l’apertura a percorsi di PMA eterologa non è stato allora così approfondito come a mio avviso avrebbe meritato, perché di fatto il cambiamento messo in atto è stato sostanziale e non solo formale: si propone alle coppie di utilizzare un gamete esterno alla coppia, per cui uno dei due non avrà un legame biologico con il figlio che nascerà. È un passaggio cruciale che troppo spesso dagli operatori sanitari è comunicato quasi come una prassi di default nel momento in cui i percorsi di PMA omologa sono ritenuti impraticabili. Questa “normalità” nel proporre un percorso oppure l’altro, come fossero sostanzialmente la stessa cosa, a volte spiazza le coppie e le spaesa, manchevoli di un accompagnamento più approfondito rispetto a scelte di vita così importanti.
Le coppie perciò spesso procedono nel percorso senza la dovuta consapevolezza di cosa potrebbe comportare nel futuro, sia rispetto agli equilibri di coppia, sia rispetto alla relazione coi propri figli.
Le coppie possono incontrare delle sollecitazioni forti, anche negative, nel diventare una coppia genitoriale, come molti raccontano: i tempi e modi dello stare insieme non sono più liberi e decisi autonomamente, i carichi familiari possono creare tensioni e spesso le differenti esperienze educative vissute possono creare conflitti e distanze. Quando le coppie arrivano a diventare genitori attraverso percorsi di PMA possono anche portarsi dietro un carico pesante di frustrazioni e emozioni dolorose vissute e non sufficientemente elaborate. Nella PMA eterologa inoltre la coppia non è “pari” rispetto alla provenienza genetica dei figli e questo, se per taluni non rappresenta in alcun modo una criticità, per altri, nel tempo, può esprimersi con dinamiche disfunzionali.

Come parlarne con i propri figli

Nella relazione con i figli è importante poter aver un dialogo aperto sulla loro storia prima della nascita: tutti i bambini amano sapere quanto sono stati pensati, voluti e desiderati dai propri genitori. In caso di PMA le coppie talvolta vacillano nel raccontare come sono arrivati a incontrare i propri figli, per molti motivi. Questi timori aumentano molto in caso di PMA eterologa. A volte si pensa che i bambini non siano in grado di comprendere contenuti del genere, oppure si pensa che non farebbe bene loro sapere di provenire da un altro “dove”, e indebolire il loro senso di appartenenza familiare.
Vivere dei segreti familiari, anche senza conoscerli direttamente, è ormai universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica come un possibile fattore di rischio di disagio psicologico e mentale. È importante, in qualsiasi percorso di genitorialità, lavorare sulla propria consapevolezza rispetto al nostro ruolo di punto di riferimento affettivo, educativo e etico per i nostri figli.
Ma quando è più opportuno iniziare a parlarne? Già quando il bambino ha 2 anni, per poi tornare sull’ argomento verso i 5, con informazioni più articolate. Da piccoli le curiosità dei bambini riguardano soprattutto come si viene al mondo in generale. Intorno ai 5 anni in poi si inizia poi a costruire il proprio “romanzo familiare”.
È fondamentale perciò dare ai bambini elementi di realtà vissuta, che consentano loro di comprendere il mondo che vivono.
A misura della loro età, delle loro caratteristiche di personalità, dei loro bisogni affettivi. E, ovviamente, con amore.

Francesca Berti, Psicologa Psicoterapeuta, Esperta di Adozione