Figli affidatari, il Jobs Act li accompagna alla ricerca del lavoro

jobs actSono gli ultimi tra gli ultimi. Perché oltre a dover fronteggiare le difficoltà dei loro coetanei, una volta giunti alla maggiore età molto spesso si ritrovano ad affrontare la vita da soli. A cominciare dalla ricerca del lavoro, missione non certo semplice in questo periodo storico. In un Paese come il nostro, con un tasso di disoccupazione giovanile del 44%, per i 18enni in uscita dai percorsi di accoglienza la vita è ancora più dura che per gli altri ragazzi. Ma ora, tra i decreti attuativi del Jobs Act, ce n’è uno che viene loro incontro.

Su circa 3.200 neomaggiorenni che ogni anno lasciano le case famiglia e le famiglie affidatarie, almeno 2mila  non tornano dai loro genitori biologici. Ovvero: ogni anno 2mila giovani particolarmente vulnerabili – con alle spalle abusi, maltrattamenti, violenze familiari – vengono lasciati completamente soli, esposti al rischio di marginalizzazione e povertà. In assenza di interventi specifici per favorire il loro pieno reinserimento sociale, anche dal punto di vista del lavoro, si finirebbe quindi per vanificare gli effetti positivi ottenuti durante il percorso di affido.

Consapevoli di questo, le Commissioni lavoro della Camera e del Senato hanno riconosciuto la necessità di inserire, nei decreti attuativi del Jobs Act, anche delle misure per l’inserimento lavorativo dei maggiorenni provenienti da case famiglia o famiglie affidatarie. Si cercherà quindi di promuovere l’accompagnamento verso una vera autonomia dei ragazzi di età compresa tra i 15 e il 29 anni, “destinatari di provvedimenti di allontanamento della famiglia di origine o per altra ragione provenienti da percorsi d’accoglienza, comunità di tipo familiare o famiglie affidatarie”, come si legge nel relativo comunicato.

Con il loro parere positivo sulla questione, le Commissioni hanno scelto di valorizzare maggiormente il prezioso patrimonio dei giovani “fuori famiglia”. Questi, secondo le stime puramente economiche, nell’arco di 10 anni produrrebbero un ritorno di 150 milioni di euro, derivanti da reddito da lavoro e da minori interventi assistenziali diretti e indiretti.

Aiutandoli nel loro ingresso nel mondo del lavoro, si riuscirebbe anche a sanare un’ingiusta disuguaglianza di trattamento. Nella classifica negativa delle opportunità di inserimento nel mercato regolare del lavoro, infatti, gli ultimi posti sono occupati proprio dai giovani fuori famiglia che, compiuti i 18 anni, escono dal sistema di protezione dell’infanzia. E ciò non certo per colpa loro: sono ragazzi privi di una “rete” familiare e spesso con carenti competenze scolastiche, a causa del tempo dedicato al superamento di devastanti traumi psicologici piuttosto che agli studi.

 

Fonte: Vita