Firenze, la Cassazione dopo 2 anni toglie una bambina alla famiglia adottiva per darla allo zio

bambini soliFiglia adottiva? Sì. Anzi, no. Si fa sempre in tempo a tornare indietro. E poco importa che la decisione viene presa sulla pelle dei bambini. Devono averla pensata così la Corte d’Appello di Firenze prima e la Corte di Cassazione dopo, nel momento in cui hanno deciso che una bambina che da 2 anni viveva con i suoi genitori adottivi doveva tornare nella sua famiglia biologica.

L’incredibile storia arriva da Pisa ed è la dimostrazione di come i diritti dei bambini e l’importanza dell’accoglienza familiare siano troppo spesso messe all’ultimo posto. E, soprattutto, è la prova del fatto che ciò che viene ritenuto giusto cambia a seconda di chi ha il potere di giudicare.

Al centro della vicenda c’è una bambina che 2 anni fa viene affidata dal Tribunale per i Minorenni di Firenze a due giovani coniugi pisani. “La nostra esperienza di genitori adottivi è partita come la maggior parte delle adozioni nazionali – ricorda la coppia, intervistata dal Tg5 -: con un affidamento a rischio giuridico”.

Comunque tutto sembra procedere per il verso giusto. Fino a quando, come un fulmine al ciel sereno, spunta uno zio materno della bambina che, nonostante avesse in un primo momento approvato la decisione del Tribunale di Firenze, cambia improvvisamente idea e presenta ricorso contro la sentenza di adozione. A quel punto, per la famiglia adottiva, inizia il calvario. “Abbiamo dovuto convivere 2 anni con il rischio che la bambina che noi abbiamo considerato come nostra figlia dal momento in cui ci è stata affidata sarebbe stata allontanata – spiegano i due coniugi -. Lei, nel frattempo, è cresciuta vedendo in noi il papà e la mamma.

Si arriva così alla sentenza d’appello che annulla quella di adozione, ordinando la “restituzione” della bimba. Non finisce qui: si procede con il ricorso in Cassazione, la quale, però, conferma la decisione di secondo grado. La bambina deve tornare dallo zio.

“La sentenza d’appello sembrava incomprensibile – commentano i due giovani genitori pisani -. In un Paese come l’Italia, in cui si parla tanto di tutela della famiglia e di cura dei bambini, la famiglia è quella in cui il bambino è accudito”.

Nei giorni in cui si parla tanto di difesa dei diritti dei minori, nell’ambito dell’interminabile dibattito sulle unioni civili, ecco quindi una vicenda che è la palese dimostrazione di come la giustizia non sia uguale per tutti e di come proprio i diritti dei minori vengano palesemente ignorati. Che cosa sarebbe successo se al posto dei due coniugi pisani ci fosse stata una coppia gay? I giudici – sia quelli d’Appello che di quelli di Cassazione – avrebbero avuto lo stesso “ardire” di togliere una figlia a chi l’aveva accolta? Facile immaginare che, se l’avessero fatto, sarebbero stati tacciati di omofobia a vita. Quindi, probabilmente, temendo questa gogna mediatica, avrebbero deciso diversamente. Perché, si sa, quando si tratta di diritti dei minori, si guardano le necessità degli adulti, anziché quelle dei bambini. E a seconda di chi giudica e di chi viene giudicato, la giustizia cambia.