Europa. Genitorialità transfrontaliera: difesa dei diritti o “via libera” all’utero in affitto?

La Commissione europea è al lavoro su un regolamento per riconoscere automaticamente in tutta l’UE la genitorialità acquisita in uno dei Paesi membri. Un principio che dovrebbe riguardare il diritto dei bambini, ma che rischia di aprire le porte alla maternità surrogata. Almeno finché non si deciderà di dichiararla ovunque fuori legge

“Genitorialità transfrontaliera”: probabilmente non tutti (potremmo forse spingerci a dire “pochi?”) conoscono questo termine che, però, è da diverso tempo al centro di un acceso dibattito nelle istituzioni e nella società europee.
Nei suoi principi di base, anche solo a leggere le prime righe delle “Informazioni su questa iniziativa” sul sito della Commissione europea, difficilmente si può dire che un regolamento sulla questione non sia necessario e doveroso, proprio per far sì che “i minori conservino i loro diritti in situazioni transfrontaliere, in particolare quando le loro famiglie viaggiano o si spostano all’interno dell’UE”.

Se la genitorialità transfontaliera apre alla alla maternità surrogata

L’applicazione pratica di tale principio, però, chiama in causa argomenti molto delicati e che, come sempre capita con qualsiasi provvedimento, possono aprire le porte e interpretazioni e “utilizzi” della misura che permettono di scavalcare o aggirare altri provvedimenti dei singoli stati.
Inutile girarci intorno più di tanto, anche perché la discussione sulla “genitorialità transfrontaliera”, di fatto, finisce per girare sempre in torno a un punto principale: la pratica della maternità surrogata, meglio conosciuta come “utero in affitto“.
Il perché non è difficile da capire: l’Italia, così come diverse altre nazioni europee giustamente vietano e condannano tale pratica. Ma in altri Paesi dell’UE è consentita e, dunque, se in uno di questi Paesi due persone diventano ufficialmente genitori di una bambina o un bambino attraverso l’utero in affitto, seconda la “genitorialità transfrontaliera” il loro status deve essere riconosciuto in ciascun Paese europeo.
Inevitabile, dunque, che intorno alla questione sia in corso un dibattito molto acceso – come sempre capita quando ci siano in gioco gli interessi degli adulti a danno dei diritti dei minori – ravvivato dalla recente presa di posizione dell’Europarlamentare della Lega Simona Baldassarre che sul quotidiano La Verità ha invocato una mobilitazione contro la proposta della Commissione sottolineando come lo stesso Parlamento Europeo, lo scorso gennaio, abbia ancora una volta condannato la pratica dell’utero in affitto in quanto “espone le donne di tutto il mondo allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani prendendo di mira, nel contempo, soprattutto le donne finanziariamente e socialmente vulnerabili”.

Differenti legislazioni: quando una condanna universale?

In diversi Paesi dell’Unione Europea la maternità surrogata è vietata per legge: lo è in Italia, naturalmente, ma anche in Germania, Finlandia, Norvegia, giusto per citarne alcuni. In altri Paesi dell’Unione, invece, tale pratica non ha una giurisprudenza dedicata e si presta a possibili interpretazioni; mentre in altri ancora è esplicitamente consentita: lo è in Grecia, per esempio, o in Portogallo (anche se per coppie eterosessuali con esigenze mediche).
Ecco, dunque, dove sta il vero problema: non tanto in una “genitorialità transfrontaliera”la cui vera finalità, come giustamente sottolinea la stessa Baldassarre: “dovrebbe riguardare… soprattutto il diritto dei bambini”; quanto nel non riconoscere universalmente la maternità surrogata come una pratica da vietare, per la dignità delle donne e per il bene dei bambini.