Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia. Violenza assistita o di genere: esiste un collegamento?

Una conferenza sul tema in diretta Facebook domani, venerdì 20 novembre, sulla pagina della senatrice Tiziana Drago

Violenza assistita e violenza di genere: quale è il collegamento? Il tema, complesso e delicato, sarà al centro di una conferenza che si terrà domani, venerdì 20 novembre, alle ore 20.30 in diretta Facebook sulla pagina della senatrice Tiziana Drago (http://facebook.com/senatricetizianadrago), del gruppo “Popolo Protagonista”, con la partecipazione di esperti e rappresentanti del mondo istituzionale. Tra questi: il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori; il direttore del CEFAM – Centro Europeo Formazione e Accoglienza Minori, Diego Moretti; il neurochirurgo ed esperto degli aspetti biologici e neurobiologici dell’identità sessuata Massimo Gandolfini; il Garante per l’Infanzia del Lazio Jacopo Marzetti; i senatori Simone Pillon, Fabiola Bologna e Alessandra Maiorino. Modererà l’incontro il giornalista Salvo Fallica.

Per l’occasione particolare, dato che si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia, abbiamo rivolto alcune domande proprio a Diego Moretti, che riportiamo di seguito:

Cosa è la violenza assistita?

“La violenza assistita ha davvero tante forme ma a noi quella che interessa discutere in questa sede è quella legata al contesto intrafamiliare, ed in particolare quella subita, in famiglia, dai bambini. Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza che possono essere di tipo fisico, verbale, psicologico, sessuale ed economico su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, siano esse adulti o minori”.

Perché viene associata alla violenza di genere?

“Partiamo innanzitutto dal fatto che per violenza di genere si indica un insieme caratterizzato da tutte quelle forme di violenza che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso di appartenenza. Se da più parti si è sempre sottolineato come ci sia un’alta percentuale di donne vittime di violenze, oggi, una statistica ISTAT sulla violenza di genere al tempo del COVID, mette in luce un aumento del fenomeno: rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2019, le telefonate al numero antiviolenza 1522 ritenute valide sono aumentate del 73% e le vittime di violenza del 59%. Tra queste donne vi sono madri vittime di episodi di vario tipo ai quali hanno assistito i propri figli. Detto ciò, in un’ottica di analisi, è da tenere in considerazione che si contemplano episodi di violenza subiti anche dal sesso maschile. Questi emergono più difficilmente, forse perché per un uomo, ammettere di aver subito una forma di violenza da parte di una donna è visto ancora come una sorta di disonore. Queste situazioni però esistono e hanno iniziato ad essere ascoltate su più fronti. Penso ad esempio al cambio di linguaggio che vede non parlare più di comunità mamma bambino, bensì di comunità genitore bambino. Questo perché s’intende che esistono anche situazioni in cui, per il bambino, risulti essere più tutelante essere affidato al padre con un percorso separato dalla madre e, laddove necessario, siano verificate le competenze genitoriali o messi in tutela in un conteso comunitario educativo.”

Che prospettive risolutive possono essere messe in campo?

“I livelli da analizzare sono almeno tre: la prevenzione, l’accompagnamento e la cura. In ognuno di questi livelli, l’approccio deve essere multidisciplinare e deve tenere in considerazione il sistema di vita dove si inserisce la famiglia, ovvero le reti familiari e amicali, i contesti frequentati (lavoro, tempo libero, ecc.). Nel livello di prevenzione considero essenziali l’informazione, la formazione e l’educazione; ciò deve essere svolto in ambiti di comunità sociale per sensibilizzare al tema e intervenire in maniera graduale a seconda dell’avvisaglia di un determinato sintomo. La prevenzione si fa anche nelle scuole, con azioni mirate di educazione al rispetto, alla gestione dei conflitti, ai valori della solidarietà. La prevenzione si fa nelle famiglie, sostenendo percorsi di scuola per i genitori dove poter condividere le tante difficoltà che magari stanno alla base dell’incapacità di costruire relazioni sane. Il livello di accompagnamento viene svolto da professionisti in materia, qualora si ritenga che i rapporti di coppia non stiano andando bene. Certo, occorre essere consapevoli che si sta degenerando e avere l’umiltà di chiedere aiuto ad un esterno. Per concretezza, riporto come azioni di mediazione e di gestione dei conflitti o di sostegno alla coppia possano essere strumenti pratici ed efficaci. Infine il livello di cura. Esso interviene laddove il fenomeno è esploso e richiede interventi di specialisti. Non voglio entrare in merito alle tante forme di intervento ma mi interessa sottolineare una cosa. Nel percorso di cura, il minore vittima e l’adulto vittima hanno sicuramente la priorità ma guardo con interesse e con favore tutte quelle iniziative che si prendono carico anche degli autori di violenza. Oltre alle pene previste dalla legge, è bene predisporre percorsi volti al recupero e riabilitativi su più livelli, partendo da un presupposto: molto spesso, chi è autore di violenza, è stato a sua volta vittima di violenza”.