Griffini (Ai.Bi.): “Adozione internazionale: perché è crollato il sistema Italia? Un malato grave in attesa di urgente trapianto”

griffini3Il sistema italiano delle adozioni internazionali è oggi gravemente ammalato. Proprio quel sistema invidiato e osannato da tutti all’estero, capace di portare da noi più di 4mila bambini all’anno: un dato che ha reso l’Italia il secondo Paese al mondo per numero di adozioni, secondo solo al “gigante” Stati Uniti, ma di gran lunga il primo se si tiene conto della proporzione tra famiglie accoglienti e popolazione totale. Un sistema apprezzato dai Paesi di origine dei minori anche per la qualità del lavoro svolto e la preparazione delle coppie, anche quelle destinate ad adozioni particolarmente “impegnative”. Ebbene, tutto questo, oggi, pare essere un lontano ricordo.

È da premettere, innanzitutto, che è profondamente errato sostenere che il crollo delle adozioni internazionali, registrato negli ultimi anni e ulteriormente aggravatosi nel 2014, faccia il pari con analoghe situazioni che si stanno verificando negli altri Paesi. Il paragone non regge perché l’Italia ha un numero di enti autorizzati, 66, superiore a quello di tutti gli altri Stati. Anche nel “colosso” Usa gli enti attualmente operativi sono meno di quelli italiani. In Spagna sono 47, in Francia meno della metà che in Italia (30) e in Germania addirittura un sesto (11).

Le nostre famiglie hanno disposizione molti più potenziali Paesi di origine dei minori per poter adottare: ben 71 tra Africa, America, Asia ed Europa. Tanto è vero che è il nostro il Paese che ha stipulato il maggior numero di accordi bilaterali. La storica eccellenza del sistema italiano è dimostrata anche dal fatto che alcuni Paesi, come ad esempio la Bielorussia, hanno deciso di concedere al nostro una sorta di “esclusiva” per le adozioni internazionali.

Insomma, quello italiano è – ma ormai dovremmo dire “era” – un sistema di eccellenza, non paragonabile a quelli degli altri Paesi. Basti solo un confronto: nel 2011, in Italia sono stati adottati 4.022 minori, mentre in Francia solo 1.995.

Perché allora il sistema Italia è andato così in crisi e rischia ora addirittura di morire a meno che non si decida di intervenire immediatamente? La causa della “malattia” è da individuarsi in 3 potenti “batteri”.

1. Il primo è l’attuale gestione della Commissione Adozioni Internazionali. Le Autorità Centrali di ogni Paese di accoglienza – oltre ai compiti burocratici, di controllo e di monitoraggio – hanno anche il fondamentale ruolo di promuovere la qualità e l’efficacia del sistema adozioni. Un sistema che il nostro legislatore ha voluto affidare a un organo collegiale e a un numero notevole di enti autorizzati. Ma ora, la collegialità, indispensabile per qualsiasi progetto strategico in qualunque campo si operi, sembra davvero andata “a farsi benedire”. La Commissione, infatti, si è riunita una sola volta nell’ultimo anno. L’attuale organizzazione della Cai non rispecchia affatto i canoni di una struttura aziendale e burocratica efficiente: una sola persona che riveste il doppio ruolo di presidente e vicepresidente, un direttore generale reso inesistente e anche i dirigenti, fondamentali per il rapporto con gli enti, sembrano essersi volatilizzati. La Cai appare quindi gestita, di fatto, da una sola persona. Con la conseguenza che si è ormai rotta una prassi consolidata negli ultimi 15 anni, da quando la Cai è stata istituita, fatta di frequenti riunioni, tavoli di confronto, strategie comuni, convegni internazionali, seminari linguistici e culturali, delegazioni congiunte nei Paesi di origine dei minori. Così, mentre alcuni Paesi chiudono le adozioni internazionali, decine e decine di richieste di nuove autorizzazioni per nuovi Paesi giacciono in qualche cassetto della Cai. Una delle più importanti cause del grave rallentamento del sistema, inoltre, è il mancato rilascio delle normali e periodiche certificazioni per il rinnovo degli accreditamenti nei vari Paesi. Il caso più eclatante è quello della Bielorussia, recentemente salito agli onori delle cronache, ma non possiamo dimenticare anche quelli relativi al Kenya, ad Haiti, all’Honduras e molti altri. Una domanda sorge quindi spontanea: come può un organo così “fragile”, com’è la Cai attuale, poter effettuare quel l’importante compito di sviluppo che la legge le attribuisce?

2. La seconda ragione di questa crisi sta nell’estrema debolezza del movimento degli enti autorizzati, dimostratisi assolutamente incapaci di una benché minima “organizzazione sindacale” per poter giocare un ruolo determinante nella risoluzione dei problemi che sono costretti ad affrontare. Troppe divisioni intestine, ataviche gelosie e giochi di potere hanno di fatto impedito a queste organizzazioni, che a tutti gli effetti sono imprese sociali, di proiettarsi in una dimensione politica capace di rendersi protagoniste della interlocuzione con le istituzioni. Il settore delle adozioni quindi ha dimostrato tutta la sua immaturità politica, essendo forse ancora troppo giovane rispetto ai “cugini” di altre organizzazioni del non profit, quali il Terzo Settore, le associazioni familiari, l’Aoi (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionali). Tutte realtà, queste, che hanno capito già da tempo l’opportunità di percorrere la strada della rappresentanza degli “interessi derivanti dalla propria missione in modo unitario e organizzato. Nel nostro caso, si tratta di “interessi” ancora più qualificanti in quanto ci stiamo riferendo allo scopo della nostra comune missione, interesse superiore superiore dei bambini abbandonati”. Tale fragilità la si è vista in modo evidente proprio nell’anno appena trascorso: a fronte degli 80 euro che il governo ha assicurato a milioni di lavoratori, solo 5 milioni sono stati destinati alle adozioni internazionali. E i rimborsi per le famiglie accoglienti sono di fatto spariti.

E dire che il 2014 aveva visto per la prima volta una certa ventata di ottimismo, con la nascita di “Uniti per l’adozione”, composto da 44 enti e rappresentato dal suo portavoce Pietro Ardizzi, che aveva promosso la stesura di un documento per il rilancio dell’adozione internazionale. Ma anche questo lodevole tentativo di risollevare le sorti dell’accoglienza adottiva è sfumato nel giro di pochi mesi, anche per la responsabilità di qualche attore esterno. E ora i vari enti si ritrovano tutti rinchiusi nei rispettivi “orticelli”, a vedere che cosa accade fuori dal loro “territorio” e ad assistere al crollo delle adozioni, alle interminabili attese delle famiglie e all’aumento dei minori abbandonati nel mondo.

3. Infine, una terza causa della crisi è attribuibile al notevole aumento dei costi, determinato da un sistema perverso e illegale: quello dei trasferimenti in nero di denaro contante all’estero a carico delle coppie adottive, con cifre anche molto alte, fino ai 15mila euro. Un sistema, questo, ben  noto alle autorità preposte al controllo – almeno stando alle continue segnalazioni, lamentele e lettere pervenute – che, da un lato, va ad alimentare il mercato illegale della corruzione (tasse non pagate, mancata tracciabilità dei destinatari delle somme di denaro) e, dall’altro, sfugge alla possibilità di un vero controllo che di fatto vanificano la possibilità di interventi correttivi che potrebbero rendere l’adozione economicamente più praticabile.

La domanda che ci poniamo da un po’ di tempo, quindi, è questa: perché, dato che anche le Linee guida che ogni ente autorizzato è tenuto a rispettare impongono la tracciabilità bancaria di ogni versamento effettuato dalle coppie, non si interviene drasticamente per eliminare questa piaga?

Insomma, che fare? Rassegnarsi all’estinzione di quel “fiore all’occhiello” del sistema di accoglienza italiano che è l’adozione internazionale? Davvero non si può. E allora?

Tre sono le strade praticabili.

La prima consiste nel chiedere aiuto alle famiglie e alle associazioni che le rappresentano. È di oggi, mercoledì 11 febbraio, l’appello di Papa Francesco a una società che promuova la genitorialità e sono milioni i minori che aspettano una famiglia in qualche angolo del mondo.

La seconda porta a chiedere aiuto al mondo della politica, ai rappresentanti dei cittadini che si dimostrano più vicini al mondo delle adozioni e dei bambini, affinché inducano il governo a farsi carico del problema dello sviluppo dell’adozione internazionale.

La terza strada è l’impegno che ogni Ente Autorizzato deve prendersi in questo frangente così  difficoltoso e domandarsi che cosa sia possibile fare per lanciare dei segnali di speranza    Ai.Bi.  si è quindi messa la classica “mano sulla coscienza” e si sta chiedendo fino a quando sia utile prorogare il blocco dell’assunzione di nuovi mandati. Forse un piccolo segnale di speranza potrebbe essere la ripresa di una “normale” attività.