Griffini (Ai.Bi.): “Liberate gli schiavi! I bambini nati dall’utero in affitto siano restituiti alle loro madri”. Mentre in Italia un senatore paga un neonato 100mila euro, in Europa qualcosa si muove…

utero in affittoSi autodefiniscono “genitori” di Luca, un bel bambino di 21 mesi nato da un utero in affitto  e costato “tra gli 80 e i 100mila euro”. “Ma il grosso della spesa se ne va per l’agenzia”. Come nella peggiore tradizione dello schiavismo: il dolore e le briciole agli sfruttati  e i soldi agli sfruttatori. I protagonisti di questa storia sono il senatore del Partito Democratico Sergio Lo Giudice e suo “marito” Michele Giarratano, intervistati a inizio febbraio dalla trasmissione tv “Le Iene”. Per realizzare il loro desiderio di avere un figlio sono ricorsi alla maternità surrogata in California. Ora aspettano che, con l’approvazione del disegno di legge Cirinnà, sia regolamentata la stepchild adoption che permetterebbe al senatore Pd di adottare Luca, nato con il seme di Michele, suo padre biologico. Nel corso dei 7 minuti di intervista, i due “genitori” ammettono anche che il piccolo, subito dopo la nascita, è stato staccato dalla donna che l’aveva messo al mondo. Luca era loro, l’avevano pagato un sacco di soldi, come una merce di lusso.

“Lo Giudice dia l’esempio: sia il primo a riconsegnare il figlio ottenuto con l’utero in affitto – è l’appello di Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini -. Quando si parla di diritti, bisogna parlare dei diritti dei bambini, non di quelli presunti degli adulti. Se vogliamo davvero affermare i primi, dobbiamo restituire i neonati nati con l’utero in affitto alle loro madri”. “Nell’adozione internazionale, se un bambino adottato fosse stato adottato pagando una somma di denaro ai suoi genitori – evidenzia Griffini -, si parlerebbe di traffico di minori, un reato punito penalmente. Per un neonato avuto a pagamento con l’utero in affitto, invece, non si dovrebbe discutere? Per questo dico: restituite questi schiavi alle loro madri, schiave anch’esse”.

Di “ultraprostituzione” parla il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che chiede una discussione senza ipocrisie sull’adozione da parte delle coppie omosessuali. Una soluzione che, secondo l’esponente del Nuovo Centrodestra, si tradurrebbe “nella legittimazione dell’utero in affitto”. “Tutto questo non ha nulla a che fare con il riconoscimento delle unioni civili – dice il ministro, dicendosi contraria alla stepchild adoption -. In gioco ci sono i diritti dei bambini che ancora devono nascere ad avere una madre e un padre e i diritti delle donne che sembrano essere regrediti”.

Mentre l’Italia rischia di sprofondare nell’abisso dell’utero in affitto, a livello europeo qualcosa si muove. Martedì 2 febbraio, nella sala Victor Hugo dell’Assemblea Nazionale francese, è stata firmata la “Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata”, per evitare che decine di milioni di donne continuino a diventare il bersaglio di  una crescente forma di schiavitù per la produzione biotecnologica di bambini. A tal proposito, la geografa indiana Sheela Saravanan parla di “dimensione colonialista” del ricorso alle madri surrogate nei Paesi emergenti, da parte delle coppie ricche del Nord del mondo. Tra i promotori della Carta anche la filosofa  Sylviane Agacinski che chiede di “impedire che, come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestito di un servizio. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato. Una pratica in cui non vi può essere nulla di etico perché il suo fine ultimo è quello di creare “fabbriche di bambini”.

Lo scopo condiviso da tutti coloro che si oppongo all’utero in affitto è dunque quello di “proteggere la dignità umana denunciando una nuova forma di tratta degli esseri umani cinicamente camuffata con buoni sentimenti”, come denuncia Aude Mirkovic, presidente di “Giuristi per l’infanzia”. Qualcosa, a livello internazionale, si sta quindi muovendo, per dire “no” a questa assurda forma di schiavitù di mamme e bambini.

 

Fonte: Avvenire, Corriere della Sera