Quando ho incontrato le mie figlie un bambino di 8 anni mi ha chiesto: “Perché non porti via anche me?”

Massimo e Maria Luisa, genitori adottivi e coordinatori di Ai.Bi. Veneto, raccontano il dono di sperimentare una grazia ”La cosa bella è che, una volta che provi questa esperienza, non riesci più a smettere, cerchi di coinvolgere altre persone e comunque ti rendi molto disponibile nel riuscire ad accogliere sempre più bambini”

Accudire due bambine e ritrovarsi genitori dall’oggi al domani, Massimo Cecchetti, coordinatore di Ai.Bi. in Veneto racconta la sua adozione.

Sono un papà adottivo prima di tutto, io e mia moglie (Maria Luisa) ci siamo sposati molto giovani e dopo poco abbiamo scoperto la nostra infertilità e, quindi, tutti i progetti fatti di curare e crescere i figli per noi non sono stati possibili. Di conseguenza, non potendo realizzare il sogno di diventare padre e madre, dopo aver vissuto delle esperienze a livello parrocchiale, abbiamo deciso fin da subito di aprirci al mondo dell’accoglienza di figli non nati da noi ma che potevano diventare tali”.

Da qui, racconta Massimo, la nostra decisione di aprirci all’adozione internazionale. I tempi allora, dice con rammarico e preoccupazione, i non erano lunghi come ora.

Avevamo fatto domanda per accogliere più di un bambino e abbiamo avuto il dono di sperimentare una grazia: diventare genitori di due bambine di 3 e 4 anni che hanno stravolto la nostra vita.”

Massimo usi il verbo “stravolgere”, perché da quel dono la loro vita di coppia e di famiglia non è più stata la stessa e ogni giorno è stato dedicato alle loro figlie e ai figli che sono rimasti in istituto in attesa di una famiglia.

Bisogna pensare” – spiega Massimo – “che non vivi tutto il periodo della gravidanza e ti ritrovi ad essere padre e madre dalla sera alla mattina. E’ stata un’esperienza talmente bella e impegnativa però che quello che ci ha accompagnato e servito molto è unire l’umano allo spirituale, abbiamo avuto la fortuna di intraprendere questo percorso affiancando un’associazione” – riferendosi ad Ai.Bi. – “che, accanto all’aspetto burocratico e procedurale, ci ha accompagnato anche sotto il punto di vista spirituale e, soprattutto, ci ha fatto intravedere negli occhi e nel volto di questi bambini abbandonati il volto di Cristo”.

Prende una pausa e poi prosegue “L’associazione si occupa anche di trovare spazio alle famiglie e ai bambini che vengono definiti uno scarto, sono rifiutati dai genitori biologici ma anche dal loro paese e, solo attraverso l’adozione, possono ricevere il diritto di avere un papà e una mamma. La cosa bella è che, una volta che provi questa esperienza, non riesci più a smettere, cerchi di coinvolgere altre persone e comunque ti rendi molto disponibile nel riuscire ad accogliere sempre più bambini, per potergli garantire un po’ di serenità, di trasmettergli l’amore di cui hanno il bisogno e di cui hanno il diritto”.

Quando siamo andati ad accogliere le bambine, siamo ritornati nel loro istituto per completare la procedura e abbiamo pranzato seduti sui tavolini delle scuole materne assieme agli altri bambini. Al mio fianco avevo un bambino di 8 anni che mi ha chiesto: “Perché non porti via anche me?

E’ nitido il ricordo in Massimo a più di vent’anni da quell’incontro.