“Il mio arrivo a Kiev e l’incontro con Alexey: ‘Mi sono sposato sotto le bombe’”

IMG_1467Proponiamo da oggi, suddiviso in alcune puntate, un reportage realizzato dal giovane free lance Matthias Canapini a Kiev, capitale dell’Ucraina insanguinata dagli scontri tra l’esercito nazionale e i separatisti filorussi dell’Est. Accompagnato dalla referente di Amici dei Bambini in Ucraina, Masha, il reporter incontra famiglie di sfollati con molti bambini costrette a vivere in campi profughi improvvisati. A provvedere ai loro bisogni sono solo dei volontari. Tra questi, c’è anche Alexey, che racconta a Matthias la sua drammatica storia.  

Alle 9 e 18 spaccate il treno rumoreggia, scricchiola e si ferma infine al binario 11 della stazione di Kiev. Appena messo piede a terra vedo Masha, la referente di Amici dei Bambini in Ucraina. Molto gentilmente, già dalle prime e-mail inviate un mese fa dall’Italia, Masha si era offerta di incontrarmi, condurmi per le vie della città, spiegarmi la situazione attuale del Paese, organizzare visite alle famiglie sfollate dall’Est nonché pianificare varie interviste. Tutto ciò che verrà poi lo devo esclusivamente al suo aiuto e alla sua pazienza. Evitando pedoni, operai al lavoro, studenti di corsa, bottegai e controllori, presto attenzione alle prime informazioni  datemi da Masha: “Da circa 1 mese sono spuntati i primi avvisi connessi alla presenza di mine o bombe nelle metropolitane, identificati come luoghi di possibili attentati. La tensione è molto alta, già ci sono state 2-3 evacuazioni ma per fortuna non si sono registrati incidenti finora”. Saliamo per le scale in cemento che ci separano dalle vie affollate di Kiev, lasciandoci dietro una vecchia mendicante con una gamba brutalmente amputata all’altezza della tibia. “Nessuno si aspettava che accadesse una cosa simile, tantomeno con la vicina Russia. Gli sfollati, le case distrutte, la guerra nelle zone a Est! Come popolo abbiamo sempre creduto nella fratellanza e vediamo il mondo cosi come è senza bandiere o nazionalismi”,prosegue Masha scorrendo alcune icone o foto-simbolo nel computer del suo ufficio. Mentre parliamo davanti ad una tazza di the con biscotti, arrivano le ultime news: 10 carri armati filorussi diretti a Donestk. “Ogni giorno è cosi, per fortuna qualche pagina sui social network o blog ci tiene aggiornati su ciò che accade a sole 5-6 ore da qui. Gran parte delle notizie che passano sui media sono false e quindi l’unico modo per fare vera informazione e aiutarsi l’un l’altro è affidarsi al tam-tam su Facebook. Per non parlare dei media russi, completamente di parte, limitativi e inadeguati per descrivere la realtà. Sembra di tornare ai tempi dell’Unione Sovietica, quando da ambo le parti una coltre di fumo non faceva vedere né capire: non esiste logica!”. Ci arriva la prima conferma per visitare un “campo sfollati” sito a qualche chilometro dal centro. Partiamo. Ci fermiamo in un supermercato lungo la strada per comprare uno scatolone di caramelle e uno di biscotti per i bambini del campo. Io mi porto dietro qualche peluche messo previdentemente nello zaino ancor prima di partire dall’Italia. Dopo 10 minuti buoni di camminata ci troviamo di fronte una fabbrica abbandonata caratterizzata da un triste colore grigio e da cavi metallici e gru ormai dismesse e inutilizzate. Nello spazio interno, tra prefabbricati, container e magazzini ci vivono 200 persone, 60 bambini in tutto di cui 4 disabili. Sono famiglie scappate da Slovyansk e Kramatorsk. Vivono in due ampie tende coi colori dell’Ucraina: un blu intenso diviso a metà da una striscia orizzontale gialla. Dormono in un largo magazzino adibito a dormitorio. La parte sinistra per le famiglie, la destra per i single, ragazzi o persone scappate sole dal conflitto. In una delle tende raccolgono vestiti e cibo in scatola e sono presenti numerosi tavolini per mangiare. Tantissimi volontari, anche giovanissimi portano ogni giorno degli aiuti: giochi per i bambini, vestiti, medicinali, cibo, prodotti per l’igiene. Alcune persone hanno trovato un lavoro a Kiev, altre hanno affittato un appartamento in centro. Altre ancora hanno proseguito verso Ovest, la zona del paese considerata più sicura ora come ora. I panni sono stesi tra due blocchi di cemento e una gran quantità di legna è ammassata negli angoli del cortile. Sguardi stanchi invadono l’aria fino a stamparsi sugli occhi dei bambini che ti guardano curiosi. Due bambine stanno lavando i piatti in un lavandino improvvisato – mi diranno poi che fino a pochi giorni prima usavano un’enorme bacinella per lavare piatti e vestiti, ma dato il numero progressivo degli sfollati hanno dovuto ingegnarsi – e un uomo è intento a spostare pesanti bombole di gas fin dentro un magazzino. Ci viene incontro Alexey Pretov, robusto ragazzo dagli occhi azzurri, il quale organizza la campagna di aiuti e donazioni oltre a dare una mano per migliorare le condizioni di chi per ora non può andarsene. Mi concede cortesemente un’intervista all’ombra di un gazebo. “Il punto di fuoco ora è la città di Donestk – dice –, molte zone colpite sono parzialmente distrutte ma chi può torna di corsa a casa, preferiscono rimanere là che abbandonare le loro mura domestiche. Io e altri miei amici eravamo volontari pro-Ucraina, dipingevamo le bandiere russe issate tempo fa nella nostra città con i colori del nostro Paese. Filmavamo ogni giorno la realtà con i cellulari o delle piccole telecamere. Ciò che accadeva per strada e le violenze a cui assistevamo. Mi conoscevano tutti nel quartiere! Già se sei ortodosso è un problema! Lungo il confine, nelle zone dove vivevo, molti vorrebbero integrarsi con la Russia e quindi c’è una grande presenza di protestanti rispetto ad altre zone del paese. Sta di fatto che vivevamo sul fronte della guerra ormai imminente, e un giorno l’armata russa ortodossa – aggiunge – ci ha catturato. Ci facevano metter in ginocchio dicendo di pregare perché ci avrebbero ucciso. I nostri amici intanto continuavano a cercarci e fortunatamente grazie all’intervento di un nostro conoscente tra le fila dell’esercito russo siamo riusciti a scappare. Ora do una mano qui: la chiesa e singoli imprenditori hanno aiutato gli sfollati. Purtroppo a volte il cibo scarseggia e ci diamo il turno per mangiare. Vedo la tensione e la preoccupazione nel volto delle persone. Come mi è capitato a Sofia la settimana scorsa, molte persone non vogliono farsi riprendere né fotografare, alcune hanno addirittura paura di parlare e raccontarmi qualcosa. Ovviamente non insisto e  mi limito a osservare. Si avvicina nuovamente Alexey: “Pensa che mi ero appena sposato – racconta – e avevo comprato casa da pochi giorni! Al prete che ha celebrato il mio matrimonio è andata molto peggio: è stato trovato morto nella sua macchina. Solo nel cofano e parabrezza hanno contato 50 colpi di kalashnikov”.