Karim: “Avrei dovuto trattenerla e invece ho lasciato partire mia sorella su quella barca della morte”

lampedusa tre ceri 200A Binnish, quando le esplosioni e gli spari si fermano per più di mezza giornata, regna un silenzio quasi più spaventoso delle detonazioni. Nel centro del paese, si trova una via di mezzo fra una sala stampa e un internet cafè. Sono due stanze con soltanto dei cuscini, dentro cui gli attivisti anti Bashar al-Assad, civili e militari, hanno improvvisato un collegamento wireless. Qui dentro, dove si rischia la vita ogni giorno per colpa delle schegge, infide e pericolose quanto le bombe, inizia il racconto di Karim. Parla un inglese stentato, ma riesce a farsi capire.

Sua sorella Yasmin, circa un mese e mezzo fa è partita a bordo di un barcone della speranza. Lui non voleva, ha fatto di tutto per trattenerla. Ma Yasmin credeva nella vita –racconta- Forse perché la portava in grembo. Era incinta di sei mesi e il suo ottimismo era una speranza dovuta a quel figlio che stava per venire al mondo.

Yasmin era una donna e aveva fede, credeva che domani sarebbe stato un giorno migliore di oggi, credeva nella fortuna di far nascere suo figlio lontano dalla guerra, al di là del mare, in un posto migliore, sotto un cielo che non fosse una minaccia di morte, ma un orizzonte. Così ha pagato una cifra esorbitante a un “cane” , un uomo senza scrupoli, che ha imbarcato lei, i suoi due figli e il marito.

Sono passati 45 giorni e Karim non sa più nulla di loro, nessuna notizia. Però, esattamente nei giorni della loro partenza, sa che c’è stato un naufragio vicino a Lampedusa, che ci sono stati dei morti, 18 per la precisione. Sa e teme di sapere.

Le cifre sono solo contenitori, ma capita che dentro ci sia proprio la tua tragedia.

Così è stato per Karim. Grazie agli operatori del Syrian Children Relief e di Amici dei Bambini, sono bastate poche verifiche per dare dei volti e dei nomi a quei numeri. Tre di quelle 18 vittime erano parenti di Karim, sua sorella e i suoi due nipoti. Solo Imad si è salvato, il marito di Yasmin, che ora è in un centro di accoglienza a Lampedusa.

Nessuno ti restituisce una sorella. Nessuno ti cancella lo strazio e il senso di colpa di non aver fatto abbastanza per trattenerla (Dovevo chiuderla in casa, dovevo nasconderle i soldi… Avrei dovuto… Avrei potuto…). Ma adesso forse l’unica consolazione, l’unico gesto umano può essere quello di unire ciò che resta della famiglia.

Due uomini soli sulle rive opposte di un mare che ha spezzato le loro vite

Se vuoi aiutare Karim e Iman a ritrovarsi e a ricominciare una vita, oltre il dolore del lutto, sostieni il progetto di Ai.Bi. “Bambini in Alto Mare”