La pro-vocazione dell’abbandono: il bambino rifiutato urla a Dio il suo “perché?”

gesù tempestaAl pari del personaggio di Giobbe nella Bibbia, il bambino abbandonato si trova all’improvviso a dover vivere solo, emarginato, rifiutato da tutti. E si chiede il perché di questo, cosa ha fatto di male. Lancia quindi la sua pro-vocazione a Dio e protestando gli chiede: “Perché?” Dagli esempi di Giobbe e di Gesù che placa la tempesta si sviluppa la riflessione proposta nell’omelia di domenica 21 giugno da don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Amici dei Bambini e de “La Pietra Scartata”.

 

PRIMA LETTURA  Gb 38,1.8-11 Dal libro di Giobbe

Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano:
«Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando usciva impetuoso dal seno materno,
quando io lo vestivo di nubi
e lo fasciavo di una nuvola oscura,
quando gli ho fissato un limite,
e gli ho messo chiavistello e due porte
dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre
e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?».

SECONDA LETTURA 2 Cor 5,14-17Dalla seconda lettera di s. Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, l’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.

Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

VANGELO  Mc 4,35-41 Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».

Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

 

 

E’ molto pro-vocatoria la Parola di Dio di questa domenica.

In genere, a questa parola, “provocatoria”, noi diamo un significato piuttosto negativo. Se diciamo che uno è un provocatore, intendiamo che è un disturbatore, uno che crea scompiglio, confusione, un molestatore, fastidioso e inutile.

E invece la parola pro-vocatore – come dice la sua etimologia – ha un significato anzitutto buono e positivo: pro-vocare è chiamare a rispondere, è rivolgere un appello, è stimolare e risvegliare, ponendo in modo nuovo, senza che sia possibile sfuggirvi, una domanda, un interrogativo, un dubbio, una questione …

Ecco, tanto il Vangelo quanto la prima lettura, contengono una domanda, all’inizio e alla fine. Così termina il Vangelo, proprio con una domanda su Gesù: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». E anche la prima lettura comincia con una domanda che Dio stesso rivolge a Giobbe: «Chi ha chiuso tra due porte il mare…?».

Queste due domande sono rivolte anche a noi, oggi, come per scuoterci ancora una volta dal rischio di lasciarci prendere dall’assuefazione e dall’abitudine rassegnata di chi non è capace di scorgere mai nulla di nuovo e di sorprendente nella vita, nostra e del mondo.

 

Cominciamo dalla prima lettura, che è presa dal libro di Giobbe.

Conosciamo, almeno un po’, la vicenda di questo personaggio straordinario della Bibbia ebraico-cristiana.

In modo sorprendente, Giobbe non è ebreo, non appartiene al popolo di Israele. E’ uno straniero. Però è un uomo timorato di Dio e cioè un uomo di grande fede, un uomo saggio, buono e ricco.

Giobbe mette insieme delle qualità che è difficile trovare in una stessa persona: è facoltoso, ha una bella famiglia, è rispettato da tutti per la sua onestà e la sua saggezza, è un uomo di grande fede.

A un certo punto però, si abbatte su di lui una tempesta tremenda, che mette radicalmente alla prova la sua fede: perde tutti i suoi beni, gli muoiono tutti i suoi figli e viene colpito da una terribile malattia, che lo fa vivere come un morto. Non muore Giobbe, ma è condannato a una vita ‘di morte’, solo, emarginato, sofferente, abbandonato da tutti.

Dopo aver sopportato un po’ questa durissima prova, a un certo punto Giobbe esplode nella sua protesta ‘contro’ Dio. “Perché?”, gli chiede …

Alcuni suoi amici cercano di convincerlo, con abili e astuti ragionamenti ‘teologici’ che Dio è giusto e che quindi, se a un uomo capitano disgrazie, mali o malattie, allora vuol dire che ha fatto qualcosa di male, vuol dire che si è meritato il male che lo ha colpito.

Questi falsi amici, questi pessimi consolatori, lo vogliono convincere, come se fossero loro Dio, come se loro di Dio sapessero tutto.

 

In fondo, dietro tanti discorsi, che all’apparenza sembrano tanto convincenti – quante volte, anche oggi, ritornano queste stesse domande: “che cosa ho fatto di male…?” oppure anche noi diciamo: “ecco, il Signore mi ha castigato …!” – c’è invece molta arroganza, ipocrisia, presunzione.

Per questo, Giobbe non può accettare tutte queste parole, che sono davvero insopportabili per lui, come anche oggi è insopportabile per un uomo malato che qualcuno pretenda di ‘consolarlo’, con delle ‘belle’ parole.

Quante volte anche a noi capita di cadere nel trabocchetto delle parole illusorie, con le quali vorremmo ‘consolare’ chi soffre o addirittura vorremmo ingenuamente ‘stimolarlo’ a reagire, a non lasciarsi andare …

E’ facile dire agli altri quello che noi non sapremmo fare!

 

E’ nel mezzo di questo dramma che Dio accetta la ‘sfida’ di Giobbe.

Gli appare «in mezzo all’uragano». Giobbe è nella tempesta. Così Dio gli appare ed è (quasi) invisibile. Giobbe può udire solo le parole di Dio. Ma quelle del Signore non sono nemmeno parole. Sono domande.

Oggi la prima lettura ne riporta una, che si ricollega al Vangelo: «Chi ha chiuso tra due porte il mare …?». E cioè: ”chi ha contenuto la potenza impetuosa dell’acqua del mare? Chi le ha fissato un limite …?”.

La bellezza della natura, ma anche la sua potenza, in certi momenti terrificanti, ci pone proprio questa domanda: “Chi? Chi si nasconde o si rivela dietro e dietro e dentro a tutto questo?”.

 

E’ questa stessa domanda che torna nel Vangelo di oggi.

Siamo al termine di una lunga e impegnativa giornata. Gesù ha raccontato molte parabole alla folla che lo assedia e lo cerca, senza sosta.

Così Gesù decide di ‘staccare’. Congeda la folla, rimane solo con i discepoli. E dice loro: «Passiamo all’altra riva». Così sale su una barca. Altre barche lo seguono.

A un certo punto scoppia una tremenda tempesta di vento, di quelle che sorgevano all’improvviso nel lago di Tiberiade.

I discepoli erano esperti pescatori. Conoscevano bene le insidie del lago. «Le onde si rovesciavano nella barca». Erano ormai sommersi dall’acqua. Non c’era più scampo. Stavano per essere travolti. Non c’era più nulla da fare.

 

In un contrasto ‘abbagliante’ con questi momenti drammatici, Gesù «se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva».

Forse era molto stanco, Gesù, al termine di una giornata tanto dura. E tuttavia, questo episodio ci incuriosisce. Come mai Gesù dormiva tanto profondamente?

E’ chiaro, questo sonno ha un evidente significato simbolico. La barca travolta dalla tempesta, i discepoli disperati, sommersi dalla paura di morire e, in tutto questo, il sonno di Gesù. E’ simbolico questo “sonno”

 

Quante volte anche a noi, nelle tempeste e nei drammi della vita, nasce questa domanda: “Dove sei, Signore?”. E ancora: “Perché dormi?”, “Perché non mi aiuti?”. E poi: “Se davvero mi vuoi bene, perché mi abbandoni in questi momenti tragici e angosciosi della mia vita?”.

Quanto più queste domande rimangono senza risposte, tanto più sono insopportabili per noi.

 

Il racconto del Vangelo così prosegue: i discepoli si precipitano da Gesù, lo svegliano, lo rimproverano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».

E Gesù che cosa fa? Non si giustifica con i discepoli, come a dire: “scusatemi, ero tanto stanco, avevo tanto sonno… non ho sentito nulla!”. E nemmeno rimprovera (subito) i suoi poveri discepoli.

Nulla di tutto questo. Si alza in piedi sulla barca e poi minaccia il vento e il mare: «Taci, calmati!».

 

Immediatamente tutto si placa e «ci fu grande bonaccia».

Solo allora Gesù chiede ai discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

 

Questa domanda Gesù la rivolge anche a noi, oggi, anche quando in una difficoltà o in una tempesta della vita oggi non lo vediamo lì, in piedi sulla barca, a placare il vento e il mare.

Anche quando, oggi, ci pare che egli continui a dormire, nel mezzo delle nostre tempeste, egli ci chiede: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

 

E a noi, oggi, è chiesto di continuare a chiederci, camminando nella fede che ci aiuta a scoprire la potenza della grazia e dell’amore di Gesù: «Chi è dunque costui?».

E’ l’invito ad affidarci a lui anche nelle tempeste!

 

don Maurizio