La scelta dell’adozione internazionale: liberare dalla schiavitù milioni di bambini vittime della cultura dell’assistenza e dei miti dell’abbandono

bambino e filo spinato350“Dobbiamo rompere il silenzio” sulla piaga vergognosa della schiavitù contemporanea. Lo ha affermato l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, monsignor Silvano Maria Tomasi, intervenendo in Svizzera alla ventisettesima sessione del Consiglio per i diritti umani. È “compito difficile e grave responsabilità” di tutti gli Stati – ha aggiunto – difendere e promuovere i diritti umani per tutte le persone”. Una schiavitù che riguarda soprattutto i bambini, rapiti, abusati, usati come scudi umani nelle guerre. Ma c’è anche la drammatica schiavitù dei milioni di bambini abbandonati nel mondo, prigionieri da un lato della solitudine dell’abbandono che li espone ad abusi, sfruttamento e violenze, dall’altro prigionieri delle logiche errate degli adulti.

Una delle schiavitù che i “grandi” dall’alto della loro logica impongono sulla pelle dell’infanzia in difficoltà, è quella della cultura dell’assistenza a scapito di quella dell’accoglienza, che non farà mai di un minore abbandonato un vero figlio, ma lo tratterà come utente da assistere con un servizio, efficiente quanto si vuole, ma pur sempre un servizio. Tutt’altro è una famiglia, dove il bambino vede realizzato il suo diritto di essere figlio e cresce nell’amore di una mamma e un papà.

C’è poi chi sostiene che strappare un bambino dal proprio contesto etnico per trapiantarlo in uno differente, è un’operazione innaturale che renderà il minore incapace di adattarsi alla nuova realtà. Forse chi afferma questo non conosce il triste destino cui sono destinati i bambini abbandonati. Cosa è forse più innaturale, lasciare che un bambino resti segnato per sempre dalla solitudine dell’abbandono o che trovi, seppure in un altro continente, l’amore accogliente di una madre e un padre?

Sul fronte dell’affido, c’è la sacralizzazione errata del legame di sangue, che rende i bambini “ostaggio” del mito della famiglia di origine. L’affido deve essere uno strumento realmente temporaneo e deve avere quindi una nuova gestione, nell’interesse del bambino a ricostruire i legami familiari spezzati. Ma l’affido sine die va superato, perché non permette al minore di essere inserito definitivamente in una famiglia, sia essa di origine o adottiva.

Proseguendo il catalogo, ecco il mito dell’età. Molti pensano che un figlio adottivo con più di 6 anni non si inserisca a scuola e nel nuovo ambiente sociale. Per questo i Tribunali per i Minorenni impongono i cosiddetti “decreti vincolati”,  provvedimenti che stabiliscono di fatto discriminazioni in base all’età o al numero di figli che un giudice ritiene più adeguato per l’aspirante coppia adottiva.

Tribunali visti a torto come sommi garanti dell’oggettiva idoneità all’adozione delle coppie, in un contesto nel quale invece agiscono in maniera arbitraria, con un’eterogeneità sconcertante di criteri di giudizio. Vi sono così giudici capaci di ribaltare le relazioni dei servizi sociali, anche le più aderenti ai fatti e alla vita concreta di una coppia. In questi casi chi compensa le coppie di tanta disponibilità e di tanto lavoro sprecato?

L’adozione internazionale è un atto di giustizia, non di quella giustizia che parte dai pezzi di carta e dal terrore dei fallimenti adottivi, altro mito, quest’ultimo, da sfatare: secondo i dati del Ministero della Gisutizia a dicembre 2013, solo un’adozione su 100 fallisce. La liberazione da tutte queste schiavitù parte dal fondamentale atto di giustizia che nasce dal cuore di una coppia che si apre all’amore. Su questo farebbe bene a puntare la politica, che invece è disinteressata all’adozione internazionale e si è posta a distanze siderali dai diritti dell’infanzia abbandonata.