La storia di Gaia e dell’Inps che le nega il diritto ad avere una mamma tutelata. I genitori affidatari devono restituire 21mila euro

neonato-amaca 350Si stava lasciando morire. A cinque mesi aveva già subìto due operazioni delicatissime, facendo la spola tra l’ospedale e la comunità educativa. La piccola Gaia (nome di fantasia), figlia di una madre tossicodipendente, appena nata, aveva crisi d’astinenza a cui si sono aggiunti presto gravi problemi di salute, conseguenza diretta della dipendenza da sostanze stupefacenti della madre.

L’ospedale in cui è nata Gaia ha inviato segnalazione al Tribunale che ha deciso di sottrarre la bambina alla madre biologica. Capace di accudire sua figlia, ma anche di lasciarla piangere per ore, quando era in compagnia del suo uomo o occupata a sniffare droga.

Così a soli tre mesi d’età la bimba è finita in comunità educativa. Benché la legge stabilisca che per bimbi da zero a sei anni la soluzione dev’essere una famiglia.  In Comunità, nonostante le cure del personale, Gaia di bere il latte, non ne voleva sapere. Con il viso scavato dalla sofferenza, si stava lasciando morire. Non aveva nemmeno più la forza di piangere. L’equipe dell’ospedale ha disposto un nuovo ricovero, medici e infermieri erano pronti a prendersi cura della piccola anche oltre il tempo necessario. A tre mesi pesava poco più di due chili: ogni grammo acquistato con tanta fatica era una conquista da proteggere.

Quando è arrivata la decisione del giudice di affidare la bimba a una casa famiglia di Ai.Bi., il pediatra dell’ospedale ha voluto incontrare la mamma affidataria. E per prima cosa le ha chiesto: “Ma lei sa dar da  mangiare a un neonato?”. La donna, infermiera e mamma biologica di cinque figli, e di almeno una decina di figli affidati in un triennio, ha risposto con un semplice: “Sì”. Dall’altra parte, il medico: “Guardi che questo è un latte speciale!”. E lei, sorridendo: “Bene, mi dica che devo fare”. I genitori affidatari hanno avuto una settimana di tempo per mostrare che Gaia cercava solo una mamma e un papà. Confida Cristina, la mamma ‘a tempo’: “Stava morendo, trovare un surrogato di una mamma, o una mamma a tempo, le è bastato per tornare a lottare per vivere. E soprattutto per ridere.”

Sette giorni dopo, la bilancia del reparto di pediatria ha registrato un incremento di peso di 200 grammi. A quel punto il pediatra si è convinto che davvero il benessere di Gaia passava dalle carezze di una mamma, capace di darle amore e attenzioni costanti senza ipoteche, una mamma capace di non perdere mai di vista gli altri sette bimbi affidati alla casa-famiglia e i due figli biologici. Visto che gli altri tre figli della coppia, ormai grandi, vivono da soli.

Ma questa coppia che ha messo a disposizione tempo, competenze e risorse non vive di solidarietà. Sono volontari e quindi diversamente dagli operatori delle comunità educative, non percepiscono remunerazioni di alcun tipo. Cristina, che un lavoro ce l’aveva, a ogni nuovo ingresso nella casa famiglia di minori in difficoltà, ha chiesto e ottenuto congedi per maternità. Un diritto che viene riconosciuto a qualsiasi mamma adottiva o affidataria. A una mamma affidataria la legge riconosce tre mesi di aspettativa, necessari per curare la relazione affettiva con bambini già provati.

Nel caso di Cristina, l’Inps ha concesso l’indennità.  Per sette volte, tanti quanti i minori accolti, salvo poi inviare alla signora- dopo 17 mesi- una lettera che non solo nega la legittimità dei congedi, ma invita la lavoratrice a restituire le somme percepite, pari a 21mila euro. Perché lei non è una ‘semplice mamma affidataria’, ma con suo marito ha aperto una casa famiglia. E quindi tecnicamente i bambini, fino a otto, vengono affidati giuridicamente all’associazione Amici dei Bambini.

Cristina dopo aver scritto un reclamo all’Inps, che ha confermato la decisione assunta, ha deciso di rivolgersi al Tribunale  per chiedere ai giudici di riconoscerle almeno il diritto al congedo così come l’Inps le aveva concesso in prima istanza. Messa alle strette, anche dall’azienda nella quale lavorava, la signora Cristina ha seguito la legge del cuore. Quei bambini che bussano alla sua porta sono la missione più importante della sua vita e così a malincuore si è licenziata.

Ma resta il problema di fondo: negare la maternità alla persona che svolge di fatto il ruolo di affidataria, vuol dire affossare l’affido, poiché vengono negati gli strumenti per poterlo realizzare. E chi subisce il danno maggiore è ancora una volta il minore coinvolto. Che ne sarebbe di Gaia senza mamma Cristina? E che ne sarà dei tanti bambini che come Gaia hanno diritto a vivere in una famiglia, se non biologica, almeno affidataria?