La tragedia della funivia del Mottarone: quel bambino rimasto solo

Una riflessione di Marco Griffini, Presidente Ai.Bi. su come questa tragedia della funivia del Mottarone stia suscitando compassione, dolore, vicinanza al dramma di quel bambino di 5 anni, unico superstite, rimasto improvvisamente solo, senza genitori

Un intero Paese, e noi con lui, sta pregando per Eitan Moshe Biran, il bimbo di 5 anni, unico sopravvissuto della tragedia della funivia del Mottarone.

Un dramma che ha colpito tutti, per la portata dell’evento dal quale deriva, ma anche perché la solitudine dei bambini è qualcosa che ci colpisce sempre profondamente: anche se non conosciamo questo bambino, anche se non ne abbiamo mai visto il volto, in lui scorgiamo la fragilità, la debolezza, il tremendo bisogno di protezione che hanno tutti i nostri figli.

Dalla funivia Mottarone un figlio “di tutti”

Attraverso tutto ciò che ci stanno dicendo in queste ore televisioni, siti internet, giornali… Noi, padri e madri, ci sentiamo al capezzale di quel bambino che non conosciamo. Stiamo piangendo per lui. Stiamo pregando, forse per la prima volta nella nostra vita, per lui. E saremmo disposti a tutto: a correre subito da lui, se potesse servire a qualcosa, a stargli vicino giorno e notte, a telefonare ai più grandi luminari della medicina di tutto il mondo per supplicarli di intervenire.

Saremmo disposti ad aprirgli non solo il nostro cuore, ma anche la nostra casa, ad accoglierlo nella nostra famiglia, senza pensarci un attimo. Senza chiederci se poi, un domani, le conseguenze di questo tremendo incidente lasceranno un indelebile segno sul suo piccolo corpo o nella sua mente. Anzi, proprio per questa sua fragilità ci sentiremmo di amarlo di più… Perché in quel letto di ospedale di Torino, lì, non c’è un bambino qualsiasi. Lì c’è nostro figlio!

Così lo sentiamo, così lo vediamo. Questo formidabile amore che, inspiegabilmente, ci lega in un tutt’uno con i nostri figli, siano essi nati dalla nostra carne o dal nostro cuore. È un sentimento immediato, che ci fa sentire quel bambino, rimasto improvvisamente e tragicamente solo, come un “altro” nostro figlio.

La tragedia della funivia Mottarone si ripete ogni minuto, in tutto il mondo

Eppure, purtroppo, ogni giorno – dicono addirittura ogni minuto – in qualche parte del mondo un bambino resta improvvisamente e tragicamente solo. Sono i milioni di bambini abbandonati che affollano le migliaia di istituti sparsi nei paesi dei cinque continenti o per le strade di migliaia e migliaia di città.

Non c’è nazione che scampi da questo dramma, non c’è angolo del mondo che ne sia immune, tanto che non ne conosciamo la dimensione reale: non solo non sappiamo il numero infinito di questi bambini, ma nemmeno quello degli orfanatrofi.
Ma, questo, è un dramma che non ci sfiora! È un dramma che non ci rattrista, non ci preoccupa, non ci fa dire una preghiera per dei volti sconosciuti e senza nome. È un dramma che, semplicemente, “non esiste”, perché nessuno ne parla.

A quel povero bambino che lotta tra la vita e la morte a Torino, senz’altro non mancheranno aiuti, assistenza, come è giusto che sia. Ci si farà in quattro per farlo tornare in salute e, poi, per assicuragli tutto ciò di cui un bambino ha bisogno per crescere. Ma noi pensiamo, e ne siamo fermamente convinti, che tutto questo non basti: non ha più i suoi genitori, come potrà vivere senza di loro? Come potrà essere felice e crescere serenamente senza il loro amore?

Nelle ultime ora a Torino è arrivata la zia di Eitan Moshe Biran. Anche lei ha perso un fratello, una cognata (e i suoi nonni) e un altro nipotino. È corsa con l’apprensione e la speranza di chi, forse, già si sente mamma di quel nipote rimastole. E non abbiamo dubbi che non veda l’ora di aprirgli le braccia per accoglierlo anche al di fuori delle mura dell’ospedale. Per dargli una nuova famiglia che possa lenire, nel tempo, la sua perdita e ridare speranza e calore alla sua vita di figlio.

Perché dovrebbe essere diverso, dunque, per i milioni di bambini invisibili nel “limbo” del loro abbandono?
Perché per loro dovrebbe essere sufficiente un aiuto economico, una borsa di studio, una mensa ben fornita…?

Non sono forse anche loro dei figli? Gli “altri nostri figli”?

Immagine Wikimedia Commons