L’affido fa acqua da tutte le parti. Lo dicono esperti da mezza Europa: “Non è la soluzione per i minori fuori famiglia”

bimbo-finestra 350 200Urge una nuova legge dell’affido. A Padova la questione è al centro di un convegno che coinvolge quindici Paesi con cinquanta esperti a confronto.  Il meeting “Le forme dell’affido in Europa: cosa sappiamo degli esiti e delle condizioni di efficacia?”, organizzato dalla Fondazione Zancan, fotografa una situazione sconcertante.

I Paesi europei viaggiano a velocità diverse: Lituania, Portogallo e Croazia sono ai loro primi passi. Mentre Italia, Germania e Francia possono già tracciare un primo bilancio. Paesi Bassi, Svezia e Inghilterra hanno investito molto in questo strumento e possono dire la loro.  In questi Paesi sembra che l’affido non sia una soluzione né per i minori né per i bilanci degli enti pubblici. Secondo il direttore della Fondazione Zancan,  Tiziano Vecchiato, l’affido è «un mezzo da usare con responsabilità, verificando i suoi esiti anche nel breve periodo e non solo dopo molti anni».

In Europa solo un terzo dei bambini riesce a ritornare in famiglia, dopo esserne stato allontanato. Nell’elenco dei Paesi analizzati manca l’Italia, visto che non sono disponibili dati ufficiali. Ma stando alle proiezioni degli esperti, la situazione nostrana potrebbe anche essere peggiore. Le esperienze di Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Svezia- sottolinea Klaus Wolf, dell’Università di Siegen, in Germania,-  dicono che «spesso gli affidi non vanno a buon fine, producono sofferenza, perché non tengono fede alle aspettative e non si riesce a ridurre la conflittualità con le famiglie d’origine».

Quanto all’Italia, l’affido disegna una mappa dalle profonde diseguaglianze geografiche. Con qualche comune denominatore riguardo alle criticità. Il nostro sistema è carente in fatto di  prevenzione. Nel 76% dei casi, i servizi  sociali intervengono tardi, allontanando i minori dalle famiglie su indicazione dei giudici minorili.  Sempre  Wolf commenta: « È evidente dunque che la capacità dei servizi deve aumentare notevolmente». Ma non solo. Una volta inserito il minore all’ interno di una famiglia, l’esperienza di accoglienza viene interrotta, costringendo i ragazzi a “una triste carriera” di bambini affidati. Il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, infatti, riporta dati inequivocabili: quasi il 53% dei bambini in affido proviene già da un’altra esperienza: che sia un’altra famiglia affidataria, piuttosto che una struttura residenziale, oppure una struttura residenziale sanitaria o addirittura c’è chi arriva dal carcere minorile.

Ampia la forbice tra le varie regioni: l’Abruzzo è la regione con il minor numero di affido (1,6 per ogni mille bambini), la Liguria è quella con la percentuale più alta (4,7 per mille). I dati medi sono del 3,1 per mille a Nord-Ovest, del 2,9 per mille a Nordest, del 3 per mille al Centro, del 1,6 per mille al Sud e del 3,5 per mille nelle Isole (fonte: Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, 2013). «Queste differenze non sono spiegabili con bisogni di maggiore o minore intensità – precisa Vecchiato- e ci parlano della maggiore o minore presenza di risorse e capacità professionali per affrontare i problemi presenti nei territori». Vale a dire: dove c’è più povertà (o meglio, meno capacità di spesa) c’è anche meno speranza di accoglienza familiare.

Lo squilibrio tra le varie regioni si abbina a un altro, legato invece all’ età dei minori coinvolti.  Per i bambini tra 0 e 2 anni l’affido è la soluzione nel 73% dei casi, quota che scende al 35% per i minori tra gli 11 e i 13 anni e arriva al 18% per gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni. Spiega Vecchiato: «E’ evidente che se l’allontanamento necessario è rimandato (anche per incapacità e paura di decidere) il problema cresce, si cronicizza, rendendo necessari gli interventi dei magistrati. Molti affidi familiari tardivi falliscono».

fonte: Vita Avvenire