Lecco: la strage degli innocenti. Le ragioni per non perdere la speranza

pink-lilies350Di fronte a un episodio come quello che ha sconvolto la cittadina di Lecco, e che sarebbe eufemistico e riduttivo definire un “dramma” della disperazione, rimane solo una sensazione di vuoto. Le parole vengono meno, non è possibile commentare, né mettersi a cercare colpe assurde.

È già un dramma di per sé ogni volta che un bambino muore, ma quando viene ucciso, qualcosa dentro di noi, da qualche parte, crolla. E sopraggiunge forte e netta la sensazione di rifiuto della realtà.

Quando, poi, un figlio viene ucciso dalla propria madre, quel che ci accade è ancora più incredibile: le parole che ascoltiamo, e che raccontano l’inconcepibile, entrano da un orecchio ed escono dall’altro. E non si tratta più di rifiutare l’evidenza dei fatti, ma di volere intensamente – quasi pretendere – che ciò che è avvenuto, in realtà non sia mai accaduto.

È questa una condizione che ciascuno di noi può facilmente sperimentare: provate a ripensare a quanto è successo a Lecco, alla tragedia delle tre sorelline, e non troverete alcuna parola, né spiegazione, né argomentazione adeguata, così come non potrete trovare alcuna condanna, né giustificazione, né consolazione… nulla: ciò che rimane, di fronte a tutto questo, è solo il vuoto.

Per un genitore adottivo, poi, la sensazione è ancora più tremenda, perché è inserito in una logica particolare, tale per cui i figli degli altri – specie se colpiti da una difficoltà familiare – sono anche i “suoi”.

Eppure, da qualche parte, “qualcuno” ride e si compiace di questo trionfo del male, di questo scatenamento di forze oscure e malvagie, di fronte al quale l’umanità rimane inerte, sempre più ripiegata in se stessa. “Guardate cosa riesco a fare”, sembrerebbe dire, proprio nel giorno in cui è iniziata la Quaresima. Chi può fermarmi? Chi può arginare la mia potenza? Stolti, voi che credete esista solo un Dio, il vostro ‘Padre Buono’, l’Onnipotente, e non credete a me, alla mia esistenza… chi è dunque il vero Signore di questo mondo? Questo è ciò di cui sono capace… che spettacolo! Roba da lasciare muti, senza parole, anche coloro che si ostinano, in spregio al ridicolo, a parlare di amore, pietà, solidarietà…”

Tutto, dunque, sembrerebbe perduto. Esattamente come quel pomeriggio di duemila anni fa, quando un uomo innocente, steso sulla croce, arrivò a dubitare dell’esistenza del suo stesso Padre: quale padre, infatti, abbandonerebbe il figlio in punto di morte, tradendo la promessa di stargli sempre vicino, specie nei momenti più duri?

Eppure, quel grido verso il Cielo (un urlo devastante per l’intera umanità), “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, sembra non trovare alcuna risposta. Dov’eri, Dio, su quella croce? Dov’eri, Dio, quella sera, in quella casa?

… Ma Dio tace!

Esiste ancora un barlume di speranza, dunque, al fondo di questa miseria? Viene inevitabilmente da chiederselo.

Forse, la risposta a questa domanda sta in un gesto semplice che ciascun padre e ciascuna madre possono fare: in una carezza, che darò questa sera, tornando a casa, a mio figlio. Tre carezze, una per ognuna delle tre bambine, ripetendo nel mio cuore, lentamente, il loro nome – Sidni, Kesi, Simona – guardandolo fisso negli occhi, giurandogli eterno amore.

 

Marco Griffini

Presidente di Amici dei Bambini