L’infanzia negata dei bambini in cammino sulla Rotta Balcanica

Zaynab, non vuole vestiti, vuole solo “tornare a scuola, sono tre anni che non ci vado. E un dottore per i denti. E vivere con i miei, tutti insieme”.

 In migliaia percorrono quella strada. Un percorso fatto di insidie, di pericoli, animali feroci, uomini che non esitano a picchiare altri uomini difronte ai loro figli pur di ricacciarli indietro. Pur di non permettere che si varchino i confini.

Famiglie che attendono  in un campo, solo una coperta a proteggerli sopra un maglione e fuori le tende il freddo gelido dell’inverno.

Abas e i suoi figli sono 3 anni che hanno lasciato la loro casa in Iraq. La moglie è già in Europa, al sicuro. Assieme a lei c’è un altro bimbo di 11 anni.

Abas sono 32 volte che prova ad arrivare in Europa, a varcare il confine. Sono 3 anni e 32 volte che lui e Hussein, 7 anni, Amir 13 anni, Hazen 6 anni e Zaynab 12 anni, tentano risalendo la foresta di entrare.

A raccontare la loro storia è Brunella Giovara, in un reportage pubblicato sul quotidiano Repubblica.

Ad attendere i migranti sulla rotta balcanica ci sono il freddo, i pericoli della strada, gli animali selvatici, la polizia e come se non bastasse i campi minati.

Sono 80.000, raccontano a Repubblica, nella zona di Bihac, a Velika Kladusa, disseminati nei boschi, lungo la frontiera, all’inizio della guerra.

Sono molte le famiglie che cercano disperatamente di passare. Sono troppi i bambini ad aver cancellato così presto la leggerezza dell’infanzia.

Cos’è peggio? Essere picchiato, inerme, davanti ai tuoi figli o vedere tuo padre essere picchiato, nei boschi, nel buio della notte?

Zaynab racconta alla giornalista ciò che le è rimasto impresso negli occhi: “ Ad un certo punto sono arrivati gli uomini, ci hanno illuminato. Uno ha picchiato “baba”, io sono caduta in ginocchio, stringevo i miei fratellini e dicevo no, no, per favore non picchiatelo. Uno ha detto: go Bosnia, go. E noi siamo tornati, l’abbiamo fatto molte volte”.

Zaynab, racconta  Brunella Giovara, non vuole vestiti, vuole solo “ tornare a scuola, sono tre anni che non ci vado. E un dottore per i denti. E vivere con i miei, tutti insieme”.

E allora perché vivere dell’aiuto di chi dona, con un futuro incerto, lontani dalla propria terra. Perché rischiare di essere azzannati da un orso nel buio della foresta, perché farsi picchiare davanti ai propri figli sulla rotta della disperazione? Perché?

Per una vita migliore di quella che avevamo – dice sicuro Abas – loro devono poter studiare, imparare”.

 Solo per questo…

 “ For a better life. Una vita migliore”.