L’sms dei preti ai fedeli: “Preparatevi, c’è bisogno di voi”

migrantichiese200Da Palermo all’alta Val di Non, dalla Sicilia al Trentino le chiese aprono i battenti agli ultimi: i migranti che dopo aver affrontato e superato guerre, soprusi e violenze conoscono il volto umano dell’accoglienza. Quello dei preti e dei fedeli e cittadini “comuni”  che in pieno spirito cristiano hanno spostato le lunghe panche di legno e l’altare ai lati della navata centrale delle chiese per fare spazio a lettini, brande e bagni chimici condividendo  e incarnando così i principi della solidarietà fra i popoli, la fratellanza fra le persone e a riconoscersi, indipendentemente dalla provenienza, come esseri umani di un’unica, grande comunità.  Dirottate altrove le messe e le funzioni, qui hanno trovato accoglienza le centinaia di migranti sbarcati sulle nostre coste. In fuga dal Ghana, dal Gambia, dalla Guinea, dal Mali, dalla Somalia, dal Sudan, dalla Costa d’Avorio, dall’Eritrea. «Noi facciamo quello che ci dice lui», dice indicando il Cristo in croce Maria Rita Napoli, una delle cinquecento volontarie mosse in un lampo dal parroco Sergio Mattaliano, direttore della Caritas diocesana di Palermo. Uno che di fronte all’emergenza ha detto al prefetto che avrebbe aperto le chiese. E ne ha aperte quattro, trasformandole in centri d’accoglienza gestiti unicamente da gente di buona volontà e dagli scout. «Venerdì scorso ci ha mandato un sms mentre uno dei sacerdoti celebrava messa – racconta un’altra volontaria, Anna Sicari – ci ha scritto: “Preparatevi, c’è bisogno di noi”. Nel giro di qualche ora eravamo a pulire un’ala della parrocchia del Villaggio Ruffini (quartiere del palermitano), dove ne abbiamo accolti duecento». Cinquanta sono andati nella sede storica del Centro Padre Nostro fondato da don Pino Puglisi a Brancaccio, settanta tra le statue e i mosaici della chiesa di San Carlo nel centro storico, trenta in quella di San Tommaso d’Aquino, cinquanta nella frazione collinare di Giacalone.   Quasi seicento profughi accolti dalle chiese di Palermo, mentre i centri di accoglienza scoppiano, i prefetti non sanno più che inventarsi, i sindaci affrontano l’emergenza a mani nude e casse vuote accusando l’Europa di indifferenza.  Le chiese si trasformano così in grandi distese bianche di letti, e così il grande salone, le tre aule destinate al catechismo, la stanza dove si cambiano i ministranti. In fondo come spiegano senza enfasi i giovani della parrocchia.  E intanto c’è chi porta casse di mele, patate e chi  ha speso quattromila euro in detersivi e bagnoschiuma che bastano sì e no per tre giorni. Su, al primo piano, una ventina di volontari cucinano cinquanta chili di pasta, 25 chili di pollo, tagliano cipolle, patate, lattuga. «Come facciamo? Con i soldi dell’8 per mille e con quel che avanza del contributo che lo Stato fornisce per le due strutture che gestiamo in regime ordinario, 30 euro per ogni migrante. Il resto ce lo mette la Provvidenza». Un appello valido oggi come ieri quando, come ha ricordato sul sagrato della chiesa una signora che in Svizzera ha vissuto per anni la convivenza fra diverse culture, erano i trentini ad emigrare per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della propria famiglia. “La ruota gira: oggi tocca a loro, magari domani toccherà a noi essere in difficoltà». Un appello valido oggi come ieri quando, come ha ricordato sul sagrato della chiesa una signora che in Svizzera ha vissuto per anni la convivenza fra diverse culture, erano i trentini ad emigrare per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della propria famiglia. E intanto anche solo per qualche minuto la tristezza lascia il posto ad una provvisoria serenità come è successo nella chiesa parrocchiale di San Nicolò a Castelfondo, in alta Val di Non: un gruppo di migranti intona «Oh Happy Day». Un canto di speranza per le famiglie rimaste nel paese d’origine fra guerre, soprusi e violenze, un canto di gioia e di riconoscenza per l’accoglienza ricevuta in Trentino ma, soprattutto, un canto di fratellanza e condivisione con la gente di Castelfondo. E l’applauso, dalla piccola comunità scattato spontaneamente in chiesa, non si è fatto attendere.

 

Fonte: (La Stampa, Messinaora.it)