Ma cosa è diventata l’adozione internazionale?

adozione-internazionaleCongo: 24 famiglie sono da mesi bloccate in RDC con i loro figli adottivi. Non possono rientrare in Italia, a meno di lasciare lì i loro bambini, abbandonandoli di nuovo in orfanotrofio.

Russia: una coppia, quattro anni fa, viene abbinata ad un bambino. Si reca nel Paese per conoscerlo, passa con lui giorni pieni di felicità, è pronta ad adottarlo, ma gli viene tolto. La motivazione? Incongruenze nelle indagini socio-familiari. La storia si ripete due anni dopo. Questa volta alla coppia viene abbinata una bambina, vanno a Omsk per incontrarla, trascorrono con lei una settimana, rinnovano la voglia e la disponibilità di accoglierla, ma qualcosa va di nuovo storto. Ci metteranno 5 viaggi, tre udienze e un ricorso in Corte Suprema prima di poterla abbracciare come figlia.

Bolivia: secondo le stime dell’Unicef sarebbero 20mila i bambini fuori famiglia. Una cifra che cresce di mese in mese, visto che ogni due giorni un minore viene abbandonato dai suoi genitori. Gli istituti sono pieni, eppure le adozioni sono chiuse dal 2007, da quando non sono più stati rinnovati gli accordi con gli enti autorizzati internazionali.

Colombia: il tracollo delle adozioni è drammatico (-46%) e intanto 86mila bambini, bambine e adolescenti sono affidati ai servizi. Una sentenza emessa dalla Corte Costituzionale nel 2011, obbliga l’ICBF, prima di dichiarare adottabile un minore, a cercare eventuali parenti fino al sesto grado per verificare la disponibilità di costoro ad accoglierli. Il risultato è che, prima, per emettere una dichiarazione di adottabilità erano sufficienti sei mesi, ora occorrono anche anni, poiché l’ICBF è obbligato a indagare sulle lontane origini di ciascun minore. E intanto i bambini crescono nelle strutture e, raggiunta una certa età, hanno sempre meno probabilità di essere adottati.

Sono solo alcuni dei migliaia di casi “problematici” registrati negli ultimi anni. Che cosa è diventata l’adozione internazionale?

Un calvario, una maratona sfiancante e spesso deludente. A volte una scommessa, quando non un turpe mercato.

Prima, quando è nata, era un meraviglioso ponte fra due Paesi, che superando le diversità culturali, politiche, sociali, mettevano in comune ciò che di più prezioso avevano: i loro figli e le loro famiglie. Era un incontro e uno scambio di esperienze e di amore. Era cooperazione e condivisione.

Ogni adozione riuscita instaurava un legame solido e permanente che legava, per sempre, due Paesi, due mondi. Anni fa, in Brasile, fu depositata una proposta di legge per riconoscere la cittadinanza brasiliana ai genitori adottivi, proprio per dare un riconoscimento anche giuridico alla forza di questo legame.

Ora come si è trasformata? L’adozione internazionale è, sempre più spesso, un cammino di sofferenza per le coppie , costrette ad affrontare un percorso ad ostacoli. Più che un’avventura e uno slancio del cuore, è una prova di resistenza, in cui il lieto fine non è affatto garantito.

E sul fronte interno,  quello delle leggi italiane e dell’altrettanto accidentato percorso per giungere all’idoneità? Anche qui il quadro delle difficoltà non è da meno.

Accanimento, prove interminabili, colloqui che sembrano interrogatori e una via crucis volta più a sconsigliare e scoraggiare che non a incentivare l’accoglienza.

Il risultato di questo calvario è evidente e si esprime in termini numerici: crollo delle adozioni. Sempre meno famiglie disponibili e sempre più bambini soli. 168milioni nel mondo lasciati al loro destino.

Che cosa fare? Correre ai ripari per salvare questo meraviglioso atto di accoglienza non richiede scoperte straordinarie né rivoluzioni.

Esiste già una proposta legge, presentata su iniziativa dei deputati Mario Caruso e Khalid Chaouki, con le modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Assegnata alla Commissione Giustizia, attende solo di essere discussa e approvata.

Recepisce alcuni punti centrali del Manifesto di Ai.Bi. sull’urgenza di una riforma dell’intero sistema delle adozioni internazionali.

Primo fra tutti, la necessità di una riforma culturale, che consenta di passare dalla “selezione” all’“accompagnamento” delle coppie, semplificando e abbreviando le procedure. Ma occorrono anche accoglienze innovative, più politica estera e più cooperazione, trasferendo la Commissione per le Adozioni Internazionali presso il Ministero Affari Esteri e attribuendo ad un funzionario presso ogni Ambasciata la competenza sulle adozioni internazionali. Inoltre bisognerebbe attivare una linea di finanziamento per i progetti di cooperazione, garantendo la sussidiarietà delle adozioni di minori nei Paesi in cui l’Italia adotta.

Non c’è niente da inventare, tutto è già scritto, discusso, sperimentato, sottoposto al vaglio di politici, giuristi, esperti internazionali. Sono anni che Amici dei Bambini spinge per una riforma legislativa, che salvi il sistema delle adozioni in crisi.  Quanto bisognerà ancora attendere – e soprattutto quanta sofferenza occorrerà ancora vedere, a scapito dei bambini e dei loro genitori in attesa – prima che la politica se ne faccia carico?

 

Marco Griffini

Presidente di Amici dei Bambini