Mafia Capitale. Quando il sociale diventa un business: l’accoglienza trasformata in miniera d’oro. Zamagni: “Con l’agenzia per il Terzo Settore non sarebbe successo”

romaSono in tanti a sentirsi traditi: il Terzo Settore e tutti coloro che hanno creduto ai buoni intenti di quelle cooperative che promettevano di operare nel sociale e invece, stando a quanto emergerebbe dall’inchiesta “Mafia Capitale”, avrebbe pensato solo alle proprie tasche.

Basti pensare ai 286 privati che hanno prestato il proprio denaro a interessi nulli o bassissimi, aderendo alla raccolta fondi lanciata da Banca Prossima, la controllata di Intesa San Paolo specializzata nel finanziamento al non profit e all’economia sociale, sulla piattaforma online “Terzo Valore” a beneficio del “Gruppo 29 giugno Onlus” che controlla 13 cooperative: il gruppo che faceva capo a Salvatore Buzzi, l’uomo arrestato insieme ad altre 36 persone con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e ritenuto una delle figure chiave di “Mafia Capitale”. Quella raccolta fondi, finalizzata a ottenere 900mila euro, avrebbero dovuto essere impiegati nell’acquisto, da parte della cooperativa, di 8 alloggi a Roma est  da destinare “all’accoglienza di 130 nuclei familiari in difficoltà”.

Una cifra che è solo una piccola parte di quei 15milioni di euro di affidamenti che figurano nel bilancio 2013 del gruppo di Buzzi. La lista dei creditori va molto oltre Banca Prossima e comprende anche Banca Etica, Unipol Banca, Coopfond e una serie di soci che hanno conferito alla società 2,5 milioni di euro e appartengono a categorie disagiate come detenuti o ex tali, ex tossicodipendenti e disabili.

Ma tutto questo si poteva evitare. Lo sostiene Stefano Zamagni, economista ed ex presidente dell’ormai soppressa Agenzia per il Terzo Settore. “Se l’Agenzia fosse stata dotata dei poteri di ispezione che avevo chiesto sia all’ultimo governo Berlusconi sia a quello di Mario Monti – afferma Zamagni – questo non sarebbe successo. Invece nel febbraio 2012 è stata chiusa, lasciando ai burocrati del ministero del Lavoro, che non ne sanno nulla, la responsabilità dei controlli sostanziali su quello che fanno le cooperative sociali. Siamo l’unico Paese – denuncia ancora Zamagni – che affida anche i servizi alle persone, come l’assistenza ai richiedenti asilo, con gare al massimo ribasso. Una scelta che non fa che incentivare la corruzione.

Sulla questione è intervenuto anche il direttore di “Vita”, Riccardo Bonacina, che si dice sorpreso della reazione fin troppo tiepida del mondo del non profit allo scandalo di “Mafia Capitale”. “Mi sarei aspettato qualche dichiarazione – scrive Bonacina –, qualche nota stampa delle rappresentanze del Terzo Settore capace di inaugurare una riflessione vera. I carabinieri hanno dato all’operazione un nome assai significativo: ‘Mondo di mezzo’, ahimé troppo simile all’espressione ‘Terra di mezzo’ con cui spesso si connota il mondo del Terzo Settore. Speravo in qualche uscita pubblica perché è necessario spiegare pubblicamente che non si possono confondere le due cose. Ma per farlo bisogna prendere posizione, parlare o anche urlare.

Al di là delle reazioni dovute, come la sospensione decisa da  Legacoopsociali nazionale e del Lazio di tutti gli operatori coinvolti nell’inchiesta, Bonacina si augura l’avvio di una discussione più profonda in seno al non profit italiano. “Bisognerà smetterla di far finta di nulla e bisognerà pur dire che il Terzo settore italiano ha un enorme problema di trasparenza e di pulizia. Bisognerà smetterla di chiedere soldi e bisognerà cominciare ad interrogarsi su come vengono utilizzati quelli che già si hanno”.

Pare giunta l’ora, oltre che di fare pulizia tra chi lucra nel sociale, anche di un ritorno attivo della parte onesta e trasparente del Terzo Settore nel farsi rappresentante della società civile, anche a livello politico, affinché, ad esempio, la legge delega per la riforma del Terzo Settore, per ora un contenitore ancora in gran parte vuoto, non divenga un’altra occasione sprecata.

Tutti siamo d’accordo sulla necessità di “distinguere il grano dal loglio”, ma per arrivare a ciò, ed è questa la parte difficile, servono regole chiare, semplici e facilmente applicabili.

Nella confusione normativa, che ha invece sempre più caratterizzato il Terzo Settore in questi ultimi anni (alzi la mano, solo per fare un esempio, chi tra gli enti non commerciali può dirsi sicuro di avere fatto la dichiarazione IMU in maniera pienamente corretta), gli onesti si perdono e gli approfittatori si avvantaggiano. E non basteranno certo le inchieste dei magistrati, magari destinate a perdersi tra i tanti vicoli ciechi della giustizia italiana, a cambiare le cose.

 

Fonti: il Fatto Quotidiano, Vita