Maternità surrogata nella UE: un bambino non è un diritto, è un dono e la genitorialità è una responsabilità!

“Botta e risposta” fra Ursula Von Der Leyen (Commissione UE), Vincenzo Bassi (FAFCE) e Marco Griffini (Ai.Bi.) sui diritti dei bambini e la responsabilità genitoriale 

If you are parent in one country, you are parent in every country.” (Se sei genitore in un Paese, lo sei in ogni Paese).

Così si è espressa il presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen durante il suo discorso sullo stato dell’Unione nel settembre dello scorso anno.

Ma è veramente giusto così? Questa frase, pronunciata dal presidente della Commissione Europea, davvero va a favore dei diritti dei bambini?

Riflettiamoci bene. Andiamo oltre l’impatto mediatico di questa affermazione. Valutiamone in profondità il significato…

“Un bambino non è un diritto e la genitorialità non è un diritto; piuttosto, un bambino è un dono e la genitorialità è una responsabilità”. Afferma la FAFCE  (Federation of Catholic Family Associations in Europe).

La FAFCE, con un lettera a firma del presidente Vincenzo Bassi, ha voluto  così replicare alla dichiarazione della Von Der Leyen portando all’attenzione delle istituzioni europee: “la necessità di valutare prima l’interesse superiore del bambino – sottolineando come – in effetti la Commissione sembra dare la priorità al riconoscimento della paternità rispetto all’interesse superiore del bambino quando affronta gli ostacoli alla libera circolazione creati dal riconoscimento non uniforme della paternità tra gli Stati membri dell’UE”.

Garantire che la paternità, come stabilito in un Paese dell’Unione Europea, sia riconosciuta in ogni altro Stato dell’Unione, significherebbe permettere ad alcune coppie di aggirare le prescrizioni del proprio Paese di appartenenza. In alcuni Stati, infatti, come ad esempio l’Italia, determinate forme di procreazione, come la maternità surrogata, sono considerate illegali perché ritenute non rispettose dei diritti dei bambini e della dignità della donna.

La pratica della maternità surrogata – si legge in una nota della FAFCE– è una chiara violazione degli interessi dei bambini, in quanto costituisce una situazione di traffico di esseri umani. Molti paesi dell’UE vietano questa pratica e, secondo il principio di sussidiarietà, l’Unione europea non dovrebbe cercare di aggirare le legislazioni nazionali con un riconoscimento della paternità a livello UE, ma al contrario sostenere gli Stati membri nella loro lotta contro la pratica della maternità surrogata in caso di situazioni transfrontaliere”.

Riconoscimento automatico della paternità e adozione

Il riconoscimento “automatico della genitorialità” derivante dalla maternità surrogata, inoltre “intensifica l’emarginazione dei bambini in attesa di adozione creando due sistemi giuridici paralleli” spiega la FAFCE. L’iter adottivo è infatti un processo “rigoroso” che da “priorità al benessere del minore” al “costo necessario di lunghi tempi di attesa”.

Occorre allora cambiare prospettiva: non più  “if you are parent in one country, you are parent in every country “ bensì “if you are child in one country, you are child in every country”.

Perché, come sottolinea Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. “Prima dei diritti  dei genitori arrivano i diritti dei minori: se sei bambino con dei diritti in un Paese, lo sei in ogni Paese. Ci sono Paesi come la Romania e la Polonia che vietano ai minori soli la possibilità di essere adottati da una famiglia di un altro Paese europeo anche quando nessuna famiglia adottiva del loro Paese si interessi a loro, condannando di fatto questi piccoli ad una vita senza famiglia, senza mai godere del sacrosanto diritto ad essere figlio.  Ci sono Paesi (fra cui Italia) che non posseggono ancora banche dati dei minori fuori famiglia, per cui non si si conosce non solo quanti siano questi giovani, ma nemmeno dove si trovino”.

 Prima di tutto pensiamo a loro. Pensiamo ai diritti dei bambini.