La migliore sostenibilità è l’adozione di un bambino abbandonato (2^ parte)

La seconda parte della riflessione sul potere salvifico dell’adozione, un gesto che è l’espressione massima di sostenibilità; la forma più intangibile dell’umanità, segmento di quel dna che ispira la fiducia umana verso il prossimo

La prima parte della riflessione si può leggere QUI

La Bibbia, nella sua profonda fisicità, rende presente il divino attraverso gli elementi della natura. Le piaghe d’Egitto, l’arca, gli agnelli, il fuoco, l’acqua… In una prospettiva teleologica anche la distruzione è salvifica.
Così l’abbandono che si fa dono, della vita fatta salva.
Dopo un terremoto, dove non torna a intervenire l’uomo la natura prende il sopravvento in pochi anni. Tra le rovine spuntano ramoscelli e poi macchie erbose e poi alberelli e poi… e poi…
Nel caso dell’abbandono spetta all’uomo decidere di garantire la sostenibilità della propria umanità. Spetta solo a lui se vuole o non vuole adottare, accogliere, fare di un grappolo di cuori devastati un campo di energie rigenerate.
Tutto si trasforma generando evoluzione, dove c’è il rispetto della natura. In ogni caso generando impressione.

Superare l’ottica dell’aut-aut e imparare a praticare l’et-et

Leggo un virgolettato di Pistoletto sul Mattino di fronte alla sua Venere degli stracci bruciata a Napoli: “L’incendio è l’occasione per fare appello alla parte migliore di ognuno di noi, e soprattutto di quelli che hanno aggredito l’opera”.
Se la Venere in piazza Municipio aveva un’aspirazione salvifica di fronte agli stracci che rappresentavano la parte degradante dell’umanità, ora che è stata sacrificata al fuoco la Dea diventa certa e perfetta testimone della relazione tra degrado e bellezza. Un dualismo insito nelle questioni importanti della vita. Un dualismo che è espressione del tempo storico, dove, citando di nuovo Pistoletto: “La relazione tra sublime e misero crea armonia”.
Per imparare l’arte della complessità e della relazione occorre aver superato il conflitto del dualismo che ci fa ragionare in ottica di “aut – aut”. Quando avremmo imparato a praticare l’et – et avremmo acquisito chiarezza dentro di noi, fermezza nel nostro pensiero, capacità di cambiare idea se necessario, autorevolezza nel testimoniare con la vita, capacità di perdonare.
L’adozione come processo è esattamente questo, l’arte di accogliere e di accogliersi, genitore biologico/ figlio/ genitore adottivo. È la finezza di valorizzare il figlio accolto e il suo dna, il suo Paese, la fede nella voglia di vivere del figlio e nel desiderio di essere genitori. L’adozione in sostanza è custode e si prende cura della forma più intangibile dell’umanità, anche di fronte alla durezza della vita abbrutita.

L’adozione è il miele che l’apicoltore lascia dietro di sé per nutrimento

Così come l’ape è protetta perché, se si estinguesse, tutto l’ecosistema ne verrebbe alterato, se l’adozione si estinguesse verrebbe meno un segmento di quel dna che ispira la fiducia umana verso il prossimo. L’adozione come le api è garanzia di sostenibilità di questo mondo.
A tutti i livelli.
Al livello di cooperazione l’adozione, lo abbiamo detto tante e tante volte, è l’espressione di massima sostenibilità. Allo sviluppo umano integrale di un bambino cui viene restituito lo status di figlio concorrono diversi soggetti ed entità: Stato, cittadini privati, terzo settore.
Sul piano della contemplazione dell’adozione occorre non fermarsi alla tecnica e alle procedure (per carità, necessarie), perché fermarsi a esse significherebbe banalizzare e violentare il processo adottivo. Significherebbe essere stupidi o ubriachi e bruciare la Venere. Gustare il nettare dell’adozione significa avere uno sguardo poetico, generativo e benefico.
Si potrebbe forse obiettare che in alcuni casi più che di ambrosia parliamo di amaro calice…
Anche in quei casi, si può sempre cambiare punto di vista.
Se si decide di berlo, quel calice, con l’uso della ragione e del cuore, con la fiducia che Amore richiede a Psiche, dobbiamo partire da un atto di volontà e sapere che l’adozione non è il farmaco della felicità ma dell’umanità. E se sappiamo essere umani, possiamo anche essere felici (non sempre), addolorati (non sempre), pieni di speranza (non sempre), capaci di perdonare (non sempre). Ma per apprezzare questo lato della sostenibilità dell’adozione, dobbiamo pure apprendere l’arte della leggerezza, esplorare l’abisso e imparare a lasciarsi andare e a volare. Come le api.

Marzia Masiello
Ufficio relazioni pubbliche e istituzionali di Ai.Bi.