Minnesota, adozioni internazionali al minimo storico: il cuore dell’America accogliente che non riesce più ad adottare

Dalle 923 alle 355 adozioni internazionali, nell’arco di soli sei anni. Siamo nel cuore dell’America che adotta, in quello che nella fotografia dei dati ufficiali e delle cronache è lo Stato più accogliente del mondo. È il Minnesota, capofila del gigante assoluto delle adozioni, gli Stati Uniti. Il top del top. Ma è una vetta sulla quale, per ragioni che sfuggono al controllo delle agenzie e delle stesse autorità americane, gravita una nube di crisi.

Colpiti al cuore. In Minnesota il numero di minori salvati dall’abbandono è crollato inesorabilmente. Tra il 2005 e il 2011 la diminuzione ha descritto una curva del 61,5%. Cifre che hanno l’aspetto di una disfatta epocale, mai registrata negli ultimi 15 anni. Le cause risiedono nella restrizione delle adozioni dai Paesi esteri, passati attraverso sospensioni e chiusure per adeguarsi alle normative dell’Aja e per arrivare alla trasparenza delle procedure.

Una pista su cui battono diversi media, tra i quali la popolare emittente Minnesota Public Radio. Lo spunto di cronaca è dato dall’inizio effettivo della collaborazione tra due centenarie agenzie per l’adozione internazionale, Lutheran Social Service e Children’s Home Society and Family Service, la cui fusione fu annunciata settimane orsono per venire incontro a un buco di bilancio che iniziava a farsi cronico.

Le cause di tanta crisi? Per i media non c’è dubbio: sono state le restrizioni che i Paesi esteri – storiche terre d’origine dei figli adottivi del Minnesota, quali l’Etiopia, la Corea e la Federazione Russa – hanno imposto ai propri sistemi interni di protezione dell’infanzia e al numero di minori adottabili. L’Etiopia, per fare un esempio, negli ultimi cinque anni ha ristretto il numero di bambini adottati a un massimo di 5 al giorno, quando prima ne permetteva l’espatrio al ritmo di 350 la settimana (dati MPR, Minnesota Public Radio). Per quale motivo? Il Paese africano aveva scoperto diversi casi di minori mandati in adozione nonostante vi fossero in patria parenti rintracciabili.

Da un lato questo comporta sicuramente trasparenza e miglioramenti nelle procedure adottive. Ma dall’altro lato – quello occupato da coppie che non hanno alcuna colpa – ha provocato un generale rallentamento nella durata delle procedure, con enormi stress per le famiglie adottanti. È il caso che Jean e Dan Thilmany, residenti in Minnesota, hanno denunciato in radio: l’adozione del loro piccolo Frankie, di origine coreana, da un’aspettativa di nove mesi si è tradotta in quattro lunghi anni di attesa. La crisi quindi, seppur con facce diverse, mostra dappertutto la stessa espressione. E richiede, probabilmente, la medesima soluzione.