Moldova: la parola ai nostri volontari

(Chisinau) Arriva dallo staff locale la testimonianza di Marco Di Liddo,
volontario espatriato di Ai.Bi a Chisinau: “La mia esperienza di volontario espatriato è iniziata in Moldova da poco più di un mese. Sono arrivato il 1° aprile e, senza neanche il tempo di ambientarmi, ho assistito da vicino agli scontri di piazza dopo i risultati delle consultazioni elettorali. La sensazione di vivere da vicino un evento storico così significativo per la storia della Moldova mi ha colpito: osservare un evento del genere “in diretta” mi ha coinvolto in modo inaspettato. Anche questo mi è servito per conoscere meglio questo paese.

Il motivo che mi ha portato a stabilirmi per un breve periodo nella capitale Chisinau mi ha proiettato verso svariate esperienze legate ai bambini abbandonati ed in particolare alla realtà degli internat, ovvero gli orfanotrofi che hanno una scuola interna.

Ecco la mia testimonianza della prima visita in un internat:

“Ho sentito molto parlare e raccontare degli internat in cui l’associazione opera ed ogni volta cercavo di costruirmi un’immagine, un’idea di come fossero realmente queste realtà e delle condizioni di vita dei bambini al loro interno. Quando sono entrato per la prima volta in un internat, quello di Carpineni (nord della Moldova), ho capito subito che ogni mia immaginazione non si era avvicinata neanche lontanamente alla realtà che stavo osservando. La tristezza che ho provato quando ho visitato le camere da letto in cui i bambini dormono, spoglie, fredde e ordinate a tal punto da farle sembrare disabitate, non è comprensibile attraverso un racconto.

L’operatrice dell’internat spiega con serietà e orgoglio le attività dei ragazzi, l’organizzazione della struttura, l’importanza del rispetto delle regole e dell’ordine. Io ascolto attentamente ma non posso fare a meno di pensare che si tratta di bambini o adolescenti che, nel migliore dei casi, vedono un parente ogni tanto e per qualche ora soltanto. Certamente nell’internat che ho visitato non mancano i vestiti, i letti, il cibo e delle condizioni igieniche adeguate, ma nulla di tutto questo può compensare il vuoto rappresentato dalla mancanza dell’affetto e del calore che solo una famiglia può dare ad un bambino. Camminando per i corridoi e nelle stanze non ho percepito altro che freddezza, solitudine, un luogo molto lontano dai ricordi della mia infanzia felice con la mia famiglia, protetto in ogni istante dal loro affetto e riscaldato dal loro amore.

Io credo che questi bambini abbiano diritto quanto me di essere felici con una famiglia o di ritrovare l’affetto ed il calore perso. Quindi, proprio osservando una condizione così tristemente desolante che ho compreso nuovamente il significato più profondo della mia presenza in Moldova.

Durante la mia visita le camere erano vuote. Era mattino inoltrato ed i bambini erano impegnati in attività all’aperto. Quindi, dopo la visita degli interni, ho deciso di passeggiare all’esterno, da solo, per riflettere su che avevo visto. Era stata un’emozione molto forte, una stretta al cuore mai provata prima. Avevo proprio bisogno di un po’ di solitudine e silenzio. Ma, cercando uno spazio per me, non ho fatto altro che incontrare i ragazzi ed i bambini: alcuni erano impegnati a zappare i campi, altri, vestiti “da festa”, attendevano teneramente il momento in cui si sarebbero esibiti in una rappresentazione cantata e recitata per gli ospiti del giorno. L’occasione era un seminario organizzato da Amici dei Bambini per i ludotecari degli internat. Ho incrociato lo sguardo con qualcuno di loro, incuriosito dalla mia presenza. Io non so se fosse la suggestione del momento, ma ho letto negli occhi di ognuno di loro disperazione e richiesta d’aiuto, come se attraverso gli occhi mi tendessero una mano implorandomi di portarli via da lì. La loro timidezza e il loro imbarazzo nei confronti degli estranei, che incontrano solamente in queste rare occasioni, lasciava trasparire appena la curiosità tipica della loro età verso la novità. I più estroversi rispondeva al mio saluto con un sommesso “buongiorno” (in moldavo ovviamente) ed accennavano un sorriso che rapidamente lasciava nuovamente il posto ad un’espressione triste e malinconica. Mi sono commosso, ma soprattutto mi sentivo impotente davanti a quegli occhi, a quelle richieste d’aiuto che assordanti riempivano i miei pensieri. Ho avuto un attimo di sconforto. Poi mi sono “rialzato”, ho rafforzato il mio credo e la malinconia si è trasformata in nuova energia per collaborare a migliorare le condizioni dei bambini che ancora vivono la realtà traumatica dell’internat.

 

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