Nepal, “se fossi stata adottata, sarei potuta andare a scuola”

ssd 1 nepal.jpg 200Sono tanti i minori che dopo un decennio di guerra civile in Nepal sono rimasti orfani. Tra loro anche Putali e Rupa, due bambine di 9 e 12 anni,  che vivono senza supporto alcuno.

Il padre è morto durante il conflitto nel 2005, quando le bombe lanciate dagli allora ribelli maoisti esplosero proprio nella loro casa. La madre si salvò, ma piuttosto che vivere con le figlie in condizioni di povertà e disagio sociale, preferì sposarsi con un altro uomo e abbandonarle a loro stesse.

Poiché nessuno si prende cura di Putali e Rupa, le piccole sono costrette a lavorare come domestiche nelle case delle famiglie locali altolocate, che le fanno lavorare tanto, per pochi spicci e non permettono loro di andare a scuola. Un diritto che dovrebbe essere inalienabile  per ogni bambino. Come loro, purtroppo ci sono molti altri minori in Nepal nella stessa condizione. Che potrebbero essere salvati dalle adozioni internazionali.

La chiusura di questo settore in Nepal impedisce di fatto a tanti bambini abbandonati di avere una famiglia e al contempo una seconda possibilità nella vita di andare a scuola e godere del diritto allo studio. Tanti, troppi, sono i piccoli nepalesi schiavi del lavoro minorile. Per loro l’adozione internazionale potrebbe rappresentare l’unica via di salvezza da un mondo che nega loro l’infanzia.

Lo stato dell’arte sulle adozioni internazionali in Nepal è fermo dal 2010, quando il Governo diramò un ordine di sospensione. Da allora il Paese ha compiuto numerosi sforzi per adeguare il proprio sistema interno di adozione e di protezione dell’infanzia agli standard internazionali, specialmente ai requisiti della Convenzione dell’Aja sulla tutela dei diritti dei minori.

La situazione delle politiche nepalesi a tutela dell’infanzia sono da anni al centro dell’attenzione della comunità internazionale. Dapprima per le modifiche legislative interne nel corso degli anni 2007/2008 e, successivamente, per i consistenti dubbi sulla gestione delle adozioni da parte degli istituti locali.

L’attuale sistema non prevede una reale tutela dei diritti dell’infanzia, non garantisce l’accertamento dello stato di abbandono e non assicura il rispetto del principio di sussidiarietà. Motivo per cui il settore rimane tuttora chiuso.

Eppure la responsabilità non è tutta e solo del Nepal: anche i paesi occidentali, in realtà, fingono di non vedere o se ne lavano le mani. Lasciano il paese asiatico al suo destino, senza fare nulla di concreto per accompagnarlo in un processo di revisione, aggiornamento e standardizzazione, a livello internazionale, dei suoi sistemi di adozione e protezione all’infanzia. E intanto, a fare le spese di questa impasse – neanche a dirlo – sono sempre loro: i bambini come Putali e Rupa, a cui viene negato ogni diritto, ma che non hanno ancora perso la speranza di essere accolti in una famiglia vera.