Qual è la differenza tra una casa famiglia e una comunità educativa?

Buongiorno Ai.Bi.

Mi rivolgo a voi conoscendo la vostra trentennale esperienza di sostegno all’infanzia. Ultimamente mi è capitato di leggere sui giornali – normali quotidiani o testate che si occupano del sociale – diversi articoli che parlavano delle cosiddette “case famiglia”. Con una certa sorpresa, ho notato che questi articoli, pur riferendosi appunto alle case famiglia, parlano spesso di educatori, operatori e psicologi. E non ho trovato alcun riferimento alla “famiglia”. Mi chiedo dunque perché queste strutture si chiamino così. Apparentemente non ho trovato alcuna differenza rispetto ai vecchi istituti per minori, ormai chiusi da diversi anni, o alle comunità educative, ancora esistenti. Si parla di “case famiglia” sono perché sono più piccole e quindi ritenute maggiormente “a misura famigliare”? Che cosa c’entra realmente la famiglia?

Grazie per il chiarimento,

Giulia

 

cristina riccardi lad okCara Giulia,

la differenza tra comunità educativa e casa famiglia risiede nei loro stessi principi ispiratori: mentre la prima nasce come servizio, la seconda sorge come voglia di accoglienza. In termini numerici, la comunità educativa può ospitare fino a un massimo di 10 minori, mentre la casa famiglia può accoglierne fino a 6.

Nelle comunità educative i minori sono affidati alle cure degli operatori, professionisti che hanno un orario di lavoro, seguono i bambini per alcune ore e poi tornano a casa, alla propria vita quotidiana. Per quanto amore, attenzione e competenza professionale possono dedicare ai minori ospitati, non avranno mai un ruolo genitoriale.

Nelle case famiglia, invece, la cura dei bambini e la propria vita famigliare sono la stessa cosa: i genitori che gestiscono questo tipo di strutture, infatti, sono chiamati a essere mamme e papà dei piccoli che accolgono, anche se in modo temporaneo. Si tratta quindi di famiglie che si aprono all’accoglienza e alla gratuità, non solo allo scopo di fornire un servizio, ma mosse dalla volontà di prendersi cura di un bambino in situazione di disagio. È un’autentica forma di genitorialità che considera ogni minore accolto come un figlio a tutti gli effetti.

Anche le relazioni con le famiglie di origine assumono connotati diversi rispetto a quelli tipici del rapporto tra genitori biologici e operatori delle comunità educative. Nelle case famiglia, infatti, la coppia affidatarie si inserisce in un percorso di affiancamento a quella di origine: mai al di sopra o con la presunzione di insegnare qualcosa o con atteggiamento giudicante.

La casa famiglia, insomma, è un momento di passaggio – non la soluzione definitiva – in cui ogni bambino temporaneamente allontanato dal proprio nucleo di origine può “prepararsi” al proprio progetto di vita. In questo tipo di strutture, il minore viene protetto e tutelato e può ricominciare a vivere il clima famigliare, arrivando preparato a un eventuale progetto di affido o adozione o al possibile rientro a casa.

In sintesi, nelle comunità i minori possono usufruire solo di un modello di riferimento, quello offerto dagli educatori, che, pur validi dal punto di vista professionale, non rispondono pienamente ai bisogni di relazioni famigliari. Nelle case famiglia, al contrario, a questo tipo di riferimento si aggiunge anche quello rappresentato dai genitori.

Nello specifico, infatti, il modello di casa famiglia secondo Ai.Bi. comporta la presenza di una coppia sposata di genitori con un’esperienza pregressa di affido o in cui almeno uno dei due sia un educatore professionale, in possesso di adeguato titolo. A supporto della coppia possono operare varie figure: coordinatore, educatori, operatori socio-sanitari, psicologi e volontari.

Sono 9 le case famiglia aperte da Ai.Bi. nel corso degli anni: l’ultima è il Ghiridoro, inaugurata Lodi nella primavera 2016. Per saperne di più e offrire il proprio contributo a queste strutture di accoglienza, è possibile sostenere la nostra campagna Fame di mamma.

Un caro saluto,

 

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’affido