Razzismo. Daniel, atleta e figlio adottivo: “L’odio alimenta solo altro odio”

Una “scorciatoia del pensiero” pericolosa e inutile. “Ognuno nella vita può affrontare ostacoli, ma è con grande determinazione e coraggio che bisogna affrontarli”

“Negli ultimi tempi tanta gente prova a distogliere l’attenzione dai veri problemi, puntando il dito contro gli immigrati e i neri, come se avesse il diritto di usarci come scusa per non finire nei guai. Questo modo di ragionare deve finire. Ciascuno deve prendersi la responsabilità di ciò che dice e pensa, senza additare gli altri che spesso sono persone in difficoltà, ai margini della società”. Il razzismo, nelle parole di un figlio adottivo, di colore, è anche questo. Così si esprime infatti, sulla questione che in questi giorni ha purtroppo (ri)conquistato le luci della ribalta mediatica, il giovane Daniel, in una video-testimonianza registrata per i giovani dell’Azione Cattolica.

Daniel è nato in Brasile, a San Paolo, e, all’età di cinque anni, è stato adottato dai genitori, Enrico e Maria. Daniel ha un fratello di nome Giuseppe e tre sorelle: Gabriella, Martina e Serena, l’ultima arrivata, dalla lontana Cina. La sua è, quindi, una famiglia che ha fatto dell’accoglienza uno dei valori costitutivi. Una famiglia che, per conseguenza, è anche multietnica e multiculturale, aperta al mondo e alle sue diversità.

La sua è una vita normale. O, meglio, più che normale: Daniel è infatti uno sportivo agonistico, che ha ottenuto diversi successi nella pallanuoto. Un percorso, spiega, che lo ha aiutato a formarsi. Come ogni sportivo, Daniel sa infatti che è bene non illudersi con le facili scorciatoie, ma affrontare la realtà, per quanto grandi possano essere i problemi che questa presenta. “Ognuno di noi – spiega – potrà incontrare ostacoli o persone che tenteranno di metterci in difficoltà. Ma è con grande determinazione e coraggio che bisogna affrontarle tutte quante. All’inizio non sarà facile, avremo dei fallimenti, però con coraggio non bisogna arrendersi, bisogna provare e riprovare e alla fine si arriverà a raggiungere i propri successi“.

Così il razzismo può essere visto anche come una “scorciatoia del pensiero”, che porta a individuare un problema esterno per non affrontarne altri, più gravi e impellenti. “L’odio -spiega Daniel – alimenta solo altro odio e noi questo non dobbiamo permetterlo. Di eventi razzisti, purtroppo, ne ho subiti alcuni. I primi a scuola da compagni di classe e la cosa più dura è che, pur segnalando a chi di dovere, l’evento è rimasto impunito. Credo che sia proprio la mancanza di giustizia che ha consentito la diffusione dell’odio razziale nei confronti di tutte le persone e questo ti fa sentire diverso”.

L’esperienza di Daniel, da figlio adottivo e da sportivo, ci aiuta quindi a vedere il razzismo da un punto di vista diverso. Da quello di chi, ogni giorno, deve subire la propria “diversità”, senza che questa possa essere invece considerata un valore positivo. Ecco, forse, quando si parla di questi temi, la prima cosa da fare sarebbe proprio quella di mettersi dalla parte di chi, il razzismo, lo subisce. Una posizione utile anche a capire come mai l’odio, verso chiunque sia stato rivolto, non ha, nel lungo cammino dell’umanità, mai apportato un cambiamento positivo. E mai potrà apportarlo.