RDC: Doppia diagnosi – le adozioni nei territori sconvolti dalla guerra

Nei mesi scorsi Ai.Bi. ha riaperto una sede a Goma, una zona della Repubblica Democratica del Congo devastata dalla guerra, dalle epidemie e dalla povertà.

Mi trovo spesso a discutere con istituzioni pubbliche e private, congolesi ed internazionali,  per giustificare il nostro intervento rivolto all’adozione nei territori dove mi viene rinfacciato che bisognerebbe attendere una situazione più tranquilla prima di occuparci dei bambini anche con le adozioni (la famiglia è forse un bisogno secondario?).

La provincia del Nord Kivu è una delle zone più calde del pianeta dal punto di vista bellico, in quanto la presenza dei vari gruppi armati ribelli sta, sempre di più, sconvolgendo le popolazioni locali ed il territorio.

Ma perché fare adozioni in zone così pericolose? Il rischio del traffico dei minori esiste, d’altronde in una zona in cui spesso la popolazione fugge dai territori dove risiede per trovare rifugio in altre città, ed i controlli delle autorità statali sono carenti, spesso il rispetto delle regole è affidato all’etica professionale di ognuno.

I bambini, come sempre, sono la parte più vulnerabile e il rischio che qualche malintenzionato approfitti della situazione, esiste ed è grave; le persone estremamente bisognose che vivono in questi territori, d’altro canto, sono pronte a vendere i propri figli per qualche dollaro.

Ma cosa fare di fronte a questa situazione? Come garantire i diritti fondamentali dei bambini?

La guerra ci impone di attendere una stabilità del paese prima di intraprendere interventi a favore dei bambini per ridurre il rischio del traffico illegale dei bambini?

Da anni si riflette su questo e la risposta delle istituzioni è molto spesso auto-garantista: per non rischiare di sbagliare attendiamo una situazione più facile che permetta gli interventi a favore dei bambini.

Siamo certi che lasciando i bambini in istituto non sbagliamo? I bambini cosa ne pensano? Come agire quando si sente il grido di un bambino al quale viene detto : “ il tuo paese è troppo difficile da gestire, devi attendere una situazione migliore per trovare una mamma e un papà”?

Sono situazioni chiaramente complesse le quali meritano riflessioni profonde e siccome i bambini gridano, vale la pena di trovare il tempo di fare.

Consideriamo un bambino ammalato di due malattie nello stesso momento: per fare un esempio elementare, un bambino che è affetto da influenza e da un’infezione alla pelle. L’intervento che faremo sarà quello di cercare di curare le due malattie attraverso due cure adatte alle due infermità, il bambino sarà considerato in uno stato più vulnerabile e verrà considerato maggiormente bisognoso di aiuto rispetto ad un bambino affetto solamente da influenza o solamente da infezione della pelle.

L’azione che metteremo in campo sarà un investimento maggiore, in quanto il bambino manifesta più bisogni nello stesso momento.

Ora consideriamo il bambino abbandonato (prima diagnosi) che si trova a vivere in un paese dove la situazione è resa peggiore dalla guerra, dalle epidemie e dalla povertà (seconda diagnosi).

L’intervento che dovremo mettere in campo è di investire il doppio delle energie per risolvere le due diagnosi allo stesso momento, mentre ciò che accade spesso è di pensare di aspettare che la situazione di guerra o epidemia si risolva, per intervenire più tardi.

I bambini soffrono per l’insieme delle situazioni e chiedono un’azione rivolta a trovare soluzione ad entrambe le diagnosi che li affliggono. I bambini non chiedono mai di attendere.

Per questa ragione Amici dei Bambini decide di occuparsi anche dei bambini che vivono nelle condizioni più difficili. Garantire un intervento complesso e sistemico per assicurare maggiormente i diritti dei bambini è la missione che ci troviamo ad affrontare.

Effettuare le adozioni dei bambini provenienti da zone di guerra non vuol dire sottovalutare il rischio della tratta, ma significa triplicare gli sforzi per poter ridare amore a chi vede intorno a se solo terrore e disperazione.

Eddy Zamperlin

Volontario espatriato in RDC