Riapertura delle scuole. I pediatri: “No a norme impossibili. Rischio zero non esiste”

La didattica a distanza? Esclusi tre studenti su dieci in Italia. Troppi perché funzionasse davvero

Mentre sono pronte le linee guida stabilite dal Comitato Tecnico Scientifico e recepite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la riapertura delle scuole a settembre, che prevedono in via prioritaria il distanziamento fisico, con banchi collocati a un metro l’uno dall’altro e il divieto di entrare in classe con febbre a 37,5 e sintomi di carattere respiratorio o influenzale (mentre non ci sarà l’obbligo di misurare la temperatura all’ingresso), è necessario fare un’analisi di quello che è stato l’anno scolastico appena terminato.

Un anno segnato dal Coronavirus, certamente, ma anche, come conseguenza, dalla didattica a distanza. Che non è sempre funzionata in maniera egregia. Anzi. In tal senso va letta la netta presa di posizione di la presa di posizione di un gruppo di medici pediatri, guidati da Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino e membro del Comitato Scientifico dell’International Society for Social Paediatrics and Child Health, intervistato al riguardo anche da Avvenire, che sostengono l’urgenza di “cambiare rotta, se si vuole evitare che alla crisi sanitaria e economica se ne aggiunga una educativa e sociale dalle conseguenze pesanti per tutti i bambini, e drammatiche per una consistente minoranza, che già in precedenza viveva situazioni di difficoltà di apprendimento. Vanno aperti e riaperti sollecitamente spazi ludici con componenti educative e vanno messe in campo iniziative specifiche di supporto per i bambini con difficoltà specifiche”.

“Queste misure – proseguono i pediatri – non vanno rese impossibili da norme e regole che non sono sorrette da chiare evidenze e non sostenibili dal punto di vista organizzativo ed economico, né devono essere rese problematiche da attribuzioni di responsabilità irragionevoli ad amministratori e dirigenti. Dal canto loro le autorità amministrative e scolastiche devono aver chiaro che il rischio zero non esiste, dare alle famiglie informazioni puntuali, coinvolgerle nell’applicazione delle norme e consentire loro scelte ragionate. È tempo di riflettere sui doveri non solo di chi si occupa d’infanzia, ma della società intera di prendersi cura di bambini e adolescenti come soggetti di diritti complessi e non procrastinabili, non come mere pedine di riduttive modellistiche epidemiologiche”.

Riapertura delle scuole e didattica a distanza: il parere dell’esperta

Oltre a Tamburlini, Avvenire ha intervistato anche Alessandra Carenzio, docente e ricercatrice del Cremit dell’Università cattolica, la quale sostiene come non sia “possibile organizzare una lezione online come se si fosse in presenza” e la necessità di tornare a una didattica tradizionale il prima possibile. Il perché possono spiegarlo anche i numeri: troppi sono ancora i ragazzi che non possono accedere all’e-learning, al sud circa il 40%. In generale, comunque, per i motivi più disparati (dall’assenza di un computer a quella di connessione in varie aree del Paese) sono tre su dieci gli studenti irraggiungibili.

Troppi perché la didattica a distanza possa essere considerata efficace, decisamente. Ragazzi e bambini che non possono permettersi di restare indietro, nel loro percorso formativo e culturale, arrecando così un danno forse permanente alla loro esistenza. Coronavirus o no.