Rischiare la vita per salvarne almeno una

giornata mondiale umanitariaDal nostro inviato (Luigi Mariani) – Oggi, 19 agosto, ricorre la Giornata Mondiale Umanitaria, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2008 per celebrare tutti gli uomini e le donne che dedicano la propria esistenza alle cause umanitarie e ricordare quanti hanno perso la vita nello svolgimento del proprio servizio. Proprio il 19 agosto del 2003, infatti, le Nazioni Unite subirono un sanguinoso attentato presso il quartier generale dell’organizzazione a Baghdad, in cui morirono 22 funzionari, tra cui il Rappresentante Speciale del Segretario Generale in Iraq, Sergio Vieira de Mello, già Alto Commissario per i Diritti Umani.

 

Oggi, migliaia di operatori sono impegnati in tutto il mondo nel fornire assistenza a circa 108 milioni di persone, le cui vite sono state sconvolte dalla guerra o dai disastri naturali. Le condizioni in cui lavorano i civili impegnati nelle organizzazioni umanitarie sono spesso proibitive: il 2013 ha registrato il record di attacchi deliberati e violenze ai loro danni, causando 155 vittime, 171 feriti e gravi e 134 sequestri. Un trend che risulta tristemente in crescita anche nei primi mesi del 2014: sono 79 le persone morte fino a oggi. Tra le principali cause ci sono gli attacchi ai convogli e le imboscate, i rapimenti, le ferite da arma da fuoco e – in misura sempre maggiore – le esplosioni causate dai bombardamenti, dai colpi di artiglieria, dagli attacchi suicidi, dalle mine anti-uomo.

 

“I recenti attacchi a cui abbiamo assistito a Gaza e in Sud Sudan ci ricordano quanto siano coraggiosi gli operatori umanitari” ha dichiarato Louis Belanger, portavoce del World Humanitarian Day 2014, riferendosi in particolare a quanto avvenuto nei mesi di luglio e agosto. “Queste persone spesso si assumono dei grandi rischi per aiutare le comunità bisognose e meritano di essere protetti”. Tre quarti degli attacchi avvenuti nel 2013 hanno avuto luogo in cinque paesi, considerati fra i più pericolosi: Afghanistan, Sud Sudan, Sudan, Pakistan e Siria.

 

E proprio la Siria è uno dei paesi più proibitivi in cui lavorare, per gli operatori umanitari, in special modo il personale medico, preso di mira sia dai gruppi armati ribelli che dalle forze governative; l’organizzazione Physicians for Human Rights ha documentato, dal 2011, 175 attacchi a 143 diverse strutture mediche, nonché l’uccisione di 526 professionisti del settore. Difficile tenere il conto, invece, dei rapimenti e delle violenze subite dagli operatori locali, decine di siriani che si attivano per supportare le proprie comunità e che finiscono per essere arrestati, torturati, giustiziati o semplicemente spariscono nel nulla, nel silenzio dei media internazionali.

 

“Un operatore che muore facendo il suo compito è già uno di troppo” ha affermato Valerie Amos, Vicesegretario Generale e Coordinatrice per gli Affari Umanitari dell’Onu. “Le infermiere, gli ingegneri, i logisti e gli autisti, ad esempio, si assumono grandi rischi nello svolgere il proprio lavoro, a volte in condizioni di estremo pericolo e in circostanze assai difficili”. Il 2014 ci restituisce dunque un mondo che, oggi come non mai, ha bisogno di aiuto, ma che diventa ogni giorno più pericoloso per coloro che sono impegnati sul campo a salvare le vite di milioni di persone. L’unico modo per non lasciarli soli è quello di abbracciare la loro causa, supportandoli e contribuendo – ciascuno secondo le proprie possibilità – a restituire un po’ di speranza a quel sempre crescente numero di disperati che, da ogni parte del globo, ci chiedono di fare la nostra parte, di non restare a guardare.