Si può imparare a distinguere il bene dal male?

Dopo le solennità pasquali e le domeniche successive, riprendiamo il cammino del tempo ordinario, fino al prossimo avvento con una riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture della Prima Lettura Dal libro della Genesi Gen 3,9-15, della Seconda Lettura Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2Cor 4,13 -5,1 e dal Vangelo Dal Vangelo secondo Marco Mc 3,20-35

Il Vangelo di oggi, ancora all’inizio di Marco, racconta di un momento ‘strano’ nella vita di Gesù.

Dopo aver annunciato il Regno e il compimento del tempo, chiamando alla fede e alla conversione, Gesù comincia a compiere una serie di gesti prodigiosi: scaccia spiriti impuri e demoni, guarisce malati, lebbrosi, paralitici, rimette i peccati nel nome di Dio e tutto questo, spesso, lo fa in giorno di sabato.

In questo modo egli muove le folle, che lo inseguono, fino a non lasciare più il tempo, a Lui e ai suoi discepoli, neppure per «mangiare».

È un successo travolgente! Al punto che ‘i suoi’, i suoi parenti, quelli della sua casa, decidono di «andare a prenderlo», un po’ spaventati per tanto clamore e un po’ preoccupati per quello che sarebbe potuto accadere, al punto che cominciano a dire e a pensare di Lui: «È fuori di sé».

Spinti dall’affetto, questi suoi parenti finiscono per non capire nulla di quanto sta avvenendo a Gesù.

In mezzo a questo notevole trambusto, suscitato da Gesù, addirittura, da Gerusalemme, arrivano degli scribi. La voce dunque è giunta fino alla capitale di Israele. Senza nemmeno provare ad ascoltare ‘l’imputato’, questi scribi hanno già pronunciato la sentenza: «costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».

Gesù non si sottrae a questa accusa, anzi chiama a sé i suoi oppositori e, con un esempio efficace, tratto dalla politica, risponde loro: «se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi». Poi, in modo più vicino alla vita di tutti i giorni aggiunge: «se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi».

Il ragionamento è luminosamente chiaro: non c’è nulla di peggio, per un regno o per una casa, di essere divisa.

La guerra civile o i conflitti laceranti spaccano le comunità e i paesi, che finiscono per implodere.

Così, analogamente, vale per satana, l’accusatore: «se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito». Questo Gesù lo dice a chi lo accusa di ‘scacciare’ i demoni in nome del loro principe. Come può satana essere contro se stesso?

Gesù invece è più forte di satana, è più forte del male, e perciò può ‘saccheggiarne’ la casa, dopo averlo ridotto all’impotenza: «nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa».

E a coloro che non riconoscono la sua opera dice: in modo molto forte, che: «tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e – addirittura – anche tutte le bestemmie che diranno».

Questa è esattamente la missione di Gesù: salvare l’uomo, liberandolo dal suo male, che lo imprigiona.

Eppure, c’è un peccato che non può essere perdonato. È uno solo: è la bestemmia «contro lo Spirito Santo», che rivela la sua missione d’amore. L’unico peccato che non può essere perdonato è il peccato di chi non vuole essere perdonato.

È il peccato di chi rifiuta di essere salvato: nella storia di Gesù, è l’ostilità di chi continua ad accusarlo di essere «posseduto da uno spirito impuro».

Gesù è venuto a liberarci dal male che ci soffoca e che, con grande abilità, ci fa credere di essere liberi.

In fondo, questa è stata l’illusione dell’adam peccatore. Questa è l’illusione di ciascuno di noi: quella di non essere peccatori.

Lo racconta, in modo mirabile, il capitolo terzo del libro della Genesi, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. L’uomo e la donna hanno mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, un albero simbolico.

La proibizione di questo albero, infatti, non aveva altro senso se non questo: “Fidatevi della Parola! Imparate a riconoscere e a gustare tutti i doni di Dio (tutti gli altri alberi del giardino) e imparate a distinguere il bene dal male”.

Ma l’uomo e la donna – ciascuno di noi – non si sono fidati di questa parola. Hanno preteso di decidere loro quale sia il bene e il male.

E alla fine, che cosa ne abbiamo ricavato? Paura, paura di Dio, paura della propria nudità, e quindi vergogna di noi stessi, del male compiuto, vergogna dinanzi allo sguardo dell’altro, che avvertiamo – con disagio – come uno sguardo di accusa.

Per questo dinanzi alla domanda di Dio, che è anche la domanda che ciascuno di noi fa a se stesso quando compie qualcosa di male («che hai fatto?»), l’uomo accusa la donna e la donna accusa il serpente.

Questo serpente è l’immagine, terribile, del male che è ‘già là’, quando l’uomo viene al mondo – è quello che chiamiamo il peccato originale –.

Ogni uomo viene alla luce in un mondo dove ci sono le ombre, le tenebre, il male, che è violenza, menzogna …

E, invece di riconoscere questo male, e il male che ciascuno di noi compie, finiamo per accusarci gli uni gli altri.

Così, la spirale dell’odio, della violenza, della menzogna, non ha mai fine.

Questa spirale è arrivata fino a Gesù, fino ad accusare anche Lui, che ci libera dal male, di essere un inviato di satana, di essere un pericoloso ‘complice’ del male del mondo.

A questa accusa Gesù risponde con meravigliosa forza, con grazia e con fermezza.

Egli ‘compie’ le parole che Dio rivolge, in Genesi, al serpente: la stirpe della donna «ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». “Tu cercherai, in tutti i modi, di opporti alla vittoria di chi ti sconfiggerà, ma non potrai fare nulla. L’amore di Dio è più forte del male e dell’odio, che pure sono diffusi in tutto il mondo”.

Ecco, questo ci deve far riflettere, perché oggi noi viviamo in un mondo in cui tendiamo a nascondere il male, la colpa, il peccato.

Non che non sentiamo la colpa. Gli uomini di oggi sentono moltissimo il ‘peso’ della colpa. Ma stentano a darle un nome. Faticano a riconoscere che questa ‘colpa’ è contro Dio, contro i doni di cui Lui ci ha circondato.

Spesso, le colpe cerchiamo di individuarle restando tra noi, ma lasciando Dio fuori.

Basterebbe pensare a quanti di noi dicono: ma, in fondo, perché confessarsi? Perché andare a chiedere perdono a un prete che, in nome di Gesù, ci libera dal male, per farci rinascere alla libertà dell’amore?

Ecco, il Vangelo di oggi si chiude proprio con una parola luminosa di Gesù.

Alla sua famiglia che lo cerca, quasi rivendicando il ‘privilegio’ di poterlo incontrare, Gesù rivolge una parola bellissima: «mia madre e … i miei fratelli» sono coloro che si lasciano amare da una grazia che è per tutti: «chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Non ci sono (più) privilegi dinanzi a Dio, perché egli ama tutti per grazia.

Così, come dice l’apostolo Paolo nella seconda lettura, siamo tutti invitati a riconoscere la grazia che ci è data in modo sovrabbondante; perché così, tutti insieme, possiamo moltiplicare «il nostro inno di ringraziamento per la gloria di Dio»!

Don Maurizio Chiodi